di Giampiero Vargiu
Nel corso delle celebrazioni per la giornata contro le violenze sulle donne, alla Camera dei Deputati è stato proiettato un video in cui l’attrice Paola Cortellesi ha letto la poesia “What I was wearing” (Cosa indossavo) di Mary Simmerling, dedicata a una vittima di stupro. “Questo è quello che indossavo quella notte. Ti chiederai come possa ricordare ogni elemento con questa precisione, ma questa domanda mi è stata fatta molte volte”, recita l’attrice. “Mi chiedo quale risposta potrebbe dare conforto a te che me lo chiedi, ricordo anche cosa indossava lui quella notte, anche se in verità nessuno me lo ha mai chiesto”.
Il 25 novembre scorso era la giornata contro la violenza sulle donne, oscurata dalla morte di Maradona, con una coda di polemiche al riguardo.
Breve storia della ricorrenza
La ricorrenza ha origine dal 25 novembre del 1960, giorno in cui tre sorelle furono uccise dagli agenti del dittatore Rafael Leonidas Trujillo, a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana. Dopo essere state fermate per strada mentre si recavano in carcere a far visita ai mariti, furono picchiate con dei bastoni e gettate in un burrone dai loro carnefici, che cercarono di far passare quella brutale violenza per un incidente. All’opinione pubblica fu subito chiaro che le tre donne erano state assassinate. Patria, Minerva e María Teresa Mirabalerano conosciute come attiviste del gruppo clandestino Movimento 14 giugno, inviso al Governo. A causa della loro militanza, nel gennaio del 1960, furono anche arrestate e incarcerate per alcuni mesi.
Le tre sorelle sono passate alla storia anche con il nome di Las Mariposas (le farfalle), per il coraggio dimostrato nell’opporsi alla dittatura, lottando in prima persona per i diritti delle donne. Il 3 agosto 1960, in seguito alle pressioni dell’opinione pubblica e alle accuse di violazione dei diritti umani formulate dall’Organizzazione degli Stati Americani contro il regime, il presidente Héctor Bienvenido rassegnò le dimissioni a favore del vicepresidente Joaquín Balaguer, mentre Trujillo venne assassinato il 30 maggio 1961.
Le tre sorelle sono state ricordate nel 1995 dalla scrittrice dominicana Julia Alvarez ne “Il tempo delle farfalle”, libro dal quale è stato anche tratti il film In the Time of the Butterflies,con Salma Hayek nel ruolo di Minerva.
Il 25 novembre del 1981avvenne il primo «Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche» e da quel momento il 25 novembre è stato riconosciuto come data simbolo. Nel 1999 è stato istituzionalizzato anche dall’ONU con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre. Un ulteriore passo in avanti è stato fatto con il riconoscimento della violenza sulle donne come fenomeno sociale da combattere, grazie alla Dichiarazione di Vienna del 1993.
Uno dei simboli più usati per denunciare la violenza sulle donne e sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema sono le scarpe rosse in tante piazze. Un simbolo ideato nel 2009 dall’artista messicana Elina Chauvetcon l’opera Zapatos Rojas. L’installazione è apparsa per la prima volta davanti al consolato messicano di El Paso, in Texas, per ricordare le centinaia di donne rapite, stuprate e uccise a Ciudad Juarez. Con la sua arte Chauvet porta avanti anche una battaglia personale: ricordare, ogni giorno, sua sorella minore, uccisa dal compagno quando aveva 22 anni.
Una strage infinita
Ogni anno nel mondo vengono uccise 87.000 donne, circa 238 femminicidi ogni giorno, una donna ogni 6 minuti.
Il 35% delle donne nel mondo ha subito violenza fisica o sessuale.
2/3 delle vittime di omicidi in ambito familiare sono donne.
Barbara Stefanelli sul blog al femminile del CORRIERE DELLA SERA “La ventisettesima Ora” ricorda che la “Pandemia ombra”, come è stata chiamata la strage di donne, è facilissima da vedere. Da marzo a giugno 2020, mentre si appiattisce la curva della mobilità perché in Italia le persone sono in lockdown, a impennarsi è la curva delle minacce e delle violenze sulle donne.
Le telefonate al numero verde 1522 aumentano del 120 per cento.
Scrive la Stefanelli “Che cosa sta succedendo dietro le porte sbarrate al virus? Che gli uomini — mariti, compagni, a volte fratelli — riversano il disorientamento e la furia dell’insicurezza economica, sociale e psicologica innescata dal confinamento sulle loro mogli, compagne, sorelle. Di ogni età, dalle ragazze alle anziane delle quali spesso ci dimentichiamo. Nel 96% delle richieste di aiuto, chi subisce attacchi è una donna. Nel 77% siamo tra le mura di casa. È per questo che, in tutte le lingue e culture, si parla di «violenza domestica”.
Che cosa fare per fermare la “pandemia ombra”
La Stefanelli suggerisce tre strade per fermare questa pandemia ombra.
“La prima strada è quella di favorire l’indipendenza economicadelle donne, perché è la base di scelte consapevoli e autonome”.
Oltre la metà delle donne in Italia non lavora, come evidenzia il grafico a fianco.
A questo bisogna aggiungere la parità di salario a parità di prestazioni lavorative.
La decontribuzione al 100 per cento per le aziende che assumono al femminile, prevista tra le misure annunciate dal Governo, è un passo in tale direzione. La leva fiscale favorisce l’inclusione lavorativa delle donne e, in particolare, delle giovani donne.
“La seconda è quella di rimettere mano alle strutture sociali”.
Bisogna attivare i sostegni territoriali alle famiglie, che i lockdown hanno rivelato fragili, se non assenti. L’ostacolo principale, che trattiene le donne rispetto all’andare via da uomini che le abusano, è costituito dalla paura di ritrovarsi sole e di esporre ad altri danni i figli minorenni. I finanziamenti alla rete delle associazioni che le accolgono non possono subire tagli né incagliarsi tra burocrazie locali.
“La terza strada è quella di combattere insieme contro i pregiudizi inconsapevoli. Quelli che continuano a muoversi nell’oscurità del corpo sociale e dei nostri corpi individuali, quelli che influenzano le nostre aspettative di genere e vanno poi a modellare le abitudini, le (cattive) pratiche, le istituzioni. Sono più potenti degli stereotipi dei quali abbiamo almeno imparato a dibattere.”
Uno degli stereotipi più comuni è che la forza sia una specialità maschile: la forza in termini di muscoli. Ma esistono altre capacità, come la velocità, la resistenza, la prontezza, l’agilità, la presenza mentale, la strategia. Si parla ancora di mito della virilità , di sesso debole, che, nel sentire comune, sospinge la femminilità dentro un perimetro di debolezza.
Ecco, scrive ancora la Stefanelli “Possiamo cambiare il racconto di quello che siamo. Liberiamo i nostri corpi, le nostre teste, i libri, le favole, le materie di studio, gli sport per maschi o per femmine. Tempo di rigenerazione, di ripartenza”.
Ci sono tante altre questioni da risolvere sulla parità di genere. Penso che ci sarà una vera emancipazione e una democrazia compiuta quando sarà tabù ogni forma di violenza.
Una utopia e una speranza, per le quali vale però la pena di combattere.