di Pistirrinchinu

La Sardegna è stata flagellata nei giorni scorsi da piogge violentissime, in particolare nel Nuorese, ma non è la prima volta: a Oliena 526 mm in 24 ore, a Bitti 336 mm, a Villagrande Strisaili oltre 300 mm. Le piene più importanti sono state rilevate nei bacini del Cedrino, Posada e Fluminimannu, circostanze che hanno fatto scattare evacuazioni preventive.

Il disastro nei nostri paesi

Bitti è travolta da un’ondata di acqua e fango che ha causato anche 3 vittime, dopo che un fenomeno analogo ma di minore intensità devastatrice c’è stato anche nel 2013.

Villagrande Strisaili aveva già conosciuto la furia devastatrice dell’alluvione nel 2004 con due morti, con oltre 250 mm in 8 ore e circa 500 mm di acqua in una giornata. La Sardegna tutta ha conosciuto vari eventi disastrosi con morti negli ultimi venti anni. I più anziani ricorderanno l’alluvione del 1951, che distrusse Gairo, in Ogliastra.

Il maltempo ha provocato anche frane, smottamenti e allagamenti in numerose strade, che hanno subito interruzioni.

La Protezione Civile in Sardegna

Nel sito della Regione Sardegna nella pagina SardegnaProtezioneCivile viene evidenziato che il Decreto legislativo n° 1 del 2 gennaio 2018 (Codice della Protezione Civile) prevede, all’articolo 12 comma 4, che i Comuni approvino, con deliberazione consiliare, il Piano di Protezione Civile comunale o di ambito, redatto secondo i criteri e le modalità riportate nelle indicazioni operative del Dipartimento Nazionale della Protezione Civile e delle Giunte Regionali.

A seguito della Determinazione del Direttore generale della protezione civile n. 4 del 23.01.2015, che ha ufficializzato l’uso e l’attivazione della piattaforma web di protezione civile ZeroGis, i Comuni provvedono all’inserimento delle pianificazioni comunali di protezione civile direttamente nella suddetta piattaforma web.

Dei 377 Comuni della Sardegna, 293 sono dotati di Piani di Protezione Civile Rischio Idraulico e Idrogeologico.

La Protezione Civile ha in Sardegna una struttura operativa costituita da una sala operativa regionale integrata (SORI), da una sala operativa regionale unificata (Soup), da un Centro funzionale, da una Colonna mobile di protezione civile, da Presidi territoriali, da un Centro Servizi e dal Centro Operativo di Giliacquas.

L’organizzazione sembra esserci, interviene tempestivamente ma, forse, le Comunità non sono adeguatamente addestrate a fronteggiare gli eventi calamitosi ricorrenti in maniera sempre più disastrosa.

Dopo i fatti di Bitti dobbiamo essere sicuramente solidali e vicini ai cittadini di quel paese, così come lo siamo stati a quelli di Villagrande Strisaili nel 2004 e ai tanti colpiti dalle altre alluvioni di questi ultimi anni.

Progettare il futuro per evitare altre vittime

La furia dell’acqua nell’Alto Flumendosa

Gli aspetti che saltano di più all’occhio e che vanno analizzati con molta attenzione, superati i momenti critici, sono essenzialmente tre:

1. non è ancora presente la necessaria sensibilizzazione dell’importanza della protezione civile, nonostante i notevoli passi avanti dell’ultimo decennio;

2. non siamo ancora passati dalle scelte effettuate nella pianificazione su carta a vere e proprie esercitazioni di protezione civile, le sole capaci di prepararci adeguatamente a fronteggiare il rischio idraulico e quello idrogeologico;

3. i tempi per realizzare gli interventi di risanamento dei danni sono biblici. Nonostante il sicuro impegno delle Amministrazioni comunali, Villagrande Strisaili, dopo 16 anni dall’alluvione del 2004, ha realizzato molte delle opere necessarie di protezione sia dell’abitato principale che della frazione di Villanova ma i lavori non sono stati ancora completati e Bitti, dopo 7 anni dall’alluvione “Cleopatra” del 2013, deve iniziare le progettazioni.

In particolare, l’ultimo aspetto deve richiamare la nostra attenzione. La burocrazia rallenta gli interventi, ma a questo punto bisogna anche ammettere che mette a rischio le vite di noi cittadini. È una delle questioni non più rinviabile.

 Leggevo in questi giorni un editoriale di Stefano Feltri sul nuovo quotidiano “Domani” di domenica scorsa, di cui è direttore, dal titolo “Usare bene il Recovery Fund” e dal sottotitolo “La ripresa dopo il Covid dipende dagli statali”.

Scrive Feltri “Sapete quanti sono i dipendenti pubblici sotto i 34 anni nella pubblica amministrazione? Soltanto il 2%. Basterebbe questo dato a spiegare perchè lo Stato italiano faticherà a gestire i 209,7 miliardi di euro di un piano che dovrebbe essere dedicato alla Next Generation EU, la prossima generazione.”

Questo succede in una situazione nella quale, secondo i dati raccolti dal Forum delle disuguaglianze, i parlamentari di Movimenta e il Forum PA, negli ultimi dieci anni gli statali si sono ridotti di 212mila, i nuovi ingressi sono stati bloccati, i tanti funzionari bravi si sono trovati circondati da colleghi sempre più vecchi, spesso poco motivati, comunque inamovibili e da un esercito di precari che conta ormai 350mila persone, ai quali si aggiungono schiere di consulenti spesso pieni di conflitti di interesse e secondi fini. Ci lamentiamo da cittadini di avere a che fare con una pubblica amministrazione poco tecnologica, che chiede le nostre generalità e il codice fiscale a ogni interazione, mentre ai nostri cellulari basta da anni l’impronta digitale per accedere a ogni dettaglio della nostra vita.

Chiede ancora Feltri “Ma come potrebbe essere diversamente, visto che in media ogni anno lo Stato investe solo 49 euro per dipendente in formazione?”

In questo periodo il Governo si sta organizzando in vista della spendita delle enormi risorse del Recovery Fund della Unione Europea e non fa di meglio che pensare a una nuova struttura parallela alla pubblica amministrazione esistente e fatta di commissari e consulenti a tempo.

Forse questa è l’occasione buona per investire le necessarie risorse per un’alternativa radicale con uno sforzo davvero notevole.

Il direttore di Domani scrive che il Forum delle disuguaglianze, i parlamentari di Movimenta e il Forum PA propongono che al riguardo potrebbero essere assunti 500mila giovani nella pubblica amministrazione, “attirati non tanto dallo stipendio, ma dalla possibilità di ribaltare il paese e farlo diventare un posto quasi civile. I tempi sono stretti, ma avremmo due benefici se partissimo subito con concorsi rapidi , difficili ma chiari e netti, o dentro o fuori, senza attingere o creare graduatorie di idonei non assunti in perenne attesa. Potremmo tenere in Italia talenti e risorse destinati altrimenti alla fuga all’estero e trasformeremmo la pubblica amministrazione da freno a volano della ripresa. Magari anche i tanti statali che languono nei corridoi di qualche ministero, sognando soltanto la pensione, troverebbero un po’ di motivazione dal contatto con nuove energie.”

Ecco, abbiamo una buona ricetta e l’occasione per creare i presupposti per poter progettare e realizzare anche per la protezione dal rischio idraulico e idrogeologico le opere necessarie in tempi adeguati a prevenire altri disastri e altre morti.