di Michela Ladu
Come è andata la presentazione dell’album TerraVetro?
La serata a Simala con la formazione di cui faccio parte, il quartetto a nome di Mauro Sigura, è andata molto bene. L’organizzazione del festival Pedras et Sonus, guidata da Zoe Pia, è stata impeccabile. Anche la temperatura, insolitamente fresca per questo periodo, non guastava…
TerraVetro: perché?
Il nome dell’album è legato principalmente a un tema ambientale, alla forza e allo stesso tempo la fragilità del pianeta che ci ospita e a quanto noi esseri umani facciamo, non sempre in linea con ciò che sarebbe necessario per salvaguardarlo. Per estensione il titolo si riferisce anche alla duplice matrice di ogni questione umana.
Quanto è importante il rapporto col pianoforte?
Il mio rapporto col pianoforte è diventato ormai quasi esclusivo. Ci sono stati periodi in cui ho anche tentato di cantare e altri in cui ho sperimentato con più frequenza l’uso di strumenti elettronici o del suono di oggetti comuni inseriti in un contesto improvvisativo. Negli ultimi anni invece sono tornato al “primo amore”, il pianoforte appunto e, nonostante il mio ambito sia principalmente legato al jazz, ho sentito la necessità di approfondire la conoscenza dello strumento, esplorando e riprendendo a studiare anche altri generi, a partire dalla musica classica.
Quali sfaccettature ha questo rapporto?
Se la domanda è riferita al pianoforte, non credo di fare una grande scoperta dicendo che è uno strumento incredibilmente versatile e completo, che si presta non solo a tantissimi generi musicali, ma anche all’espressione di ogni elemento della musica, dalla melodia, all’armonia, al ritmo, al timbro. Per questo è lo strumento più utilizzato anche da chi compone.
Cosa differenzia la musica composta per un album da quella per un accompagnamento?
Un album ha bisogno di un occhio attento alla struttura complessiva e agli equilibri fra gli strumenti e fra i vari brani. Deve avere una sua coerenza interna, insomma. Di solito in studio si cerca anche di essere più concisi negli eventuali interventi improvvisativi, rispetto a ciò che solitamente succede dal vivo, quando gli spazi possono essere più dilatati.
Qual è il suo genere prediletto?
A questo punto la risposta è abbastanza ovvia… Naturalmente il jazz, soprattutto di matrice europea, che tiene presenti le origini afroamericane del genere ma le mischia con le varie specificità del territorio o della cultura di chi lo pratica. Ma come ascoltatore sono più “onnivoro”: ascolto rock, pop, cantautori e songwriters, che mi raccontano storie in cui mi ritrovo, poi ambient, elettronica, e tanto altro. Cercando sempre le emozioni e le evocazioni di una musica che più si possano sintonizzare con il momento che sto vivendo.
Tantissime collaborazioni, quale ricorda con maggiore affetto?
Sì, le collaborazioni nel corso degli anni sono ormai parecchie. Dovendo scegliere in base al mio “gradimento”, direi che mi sono divertito molto con il collettivo Snake Platform, guidato da Daniele Ledda. Per quanto riguarda proprio l’affetto, invece, non posso che ricordare il lungo periodo di Hanife Ana teatrojazz, l’associazione culturale con cui principalmente Savina Dolores Massa e io realizzavamo spettacoli teatrali e musicali, laboratori, conferenze, reading, etc.
Qual è la prima volta volta che ha messo un dito sul pianoforte?
A sei anni, mandato dai miei genitori.
Cosa la ha portata alla carriera accademica?
Se intendiamo allo studio, il mio percorso è stato abbastanza disordinato. Dopo aver studiato classica appunto dai 6 ai 10 anni circa, c’è stato un periodo di pausa, dopodiché intorno ai 17 anni ho ripreso con una consapevolezza maggiore, e da lì in poi è nata spontaneamente la necessità di approfondire la conoscenza del linguaggio musicale. Un approfondimento e uno studio che finora non hanno avuto termine e credo (e spero) che sarà così per tutta la vita…
Chi sono i suoi maestri?
Oltre ai vari insegnanti che ho avuto, e ai musicisti a cui da ascoltatore mi sono appassionato, una persona che ha segnato molto profondamente il mio percorso è stato Peter Waters, un pianista australiano che, dopo aver vissuto anche in Svizzera, ha scelto la Sardegna come luogo in cui abitare. Il periodo in cui ho studiato con lui, ormai una quindicina di anni fa, è stato fra i più creativi e stimolanti per me. Attraverso l’improvvisazione atonale o che, comunque, potremmo definire “libera”, ma anche legata a immagini, attraverso la pratica del Tai-chi, una disciplina orientale che apparentemente poco dovrebbe avere a che fare con la musica e, attraverso la sua personalità istrionica, Peter Waters mi ha aiutato molto a contattare la parte più irrazionale e artistica del fare musica, che a volte rischia di rimanere schiacciata dallo studio “accademico”.
A chi si ispira?
Parlando del mio strumento, i grandi nomi del jazz sicuramente hanno avuto una forte influenza sul mio modo di suonare. Da Jarrett a Monk, a Bill Evans, etc. Successivamente mi sono avvicinato alla musica prodotta nel nord Europa e, per un bel po’ di tempo, mi hanno affascinato personaggi come Esbjorn Svensson, Tord Gustavsen, Bobo Stenson.
Oggi ci sono vari pianisti che fanno cose molto interessanti. Penso, fra i tanti, a Tigran Hamasyan, Shai Maestro, Fabian Almazan, Anat Cohen, Brad Mehldau e tanti altri. In ambito classico, invece, anche se non ha mai composto per pianoforte, il mio mito assoluto di sempre rimane Johann Sebastian Bach, che per me è stato una specie di “alieno” comparso fra noi umani e che rimane un genio irraggiungibile.
Un consiglio per chi s’appresta al pianoforte o alla musica…
Come insegnante cerco principalmente di trasmettere un’apertura mentale che consenta di spaziare liberamente fra i vari generi senza irrigidirsi in una sola direzione. Quindi direi che il consiglio potrebbe essere di seguire le proprie passioni e le proprie infatuazioni musicali e partire da quelle per l’approfondimento e lo studio. Elementi, questi ultimi, che rimangono comunque fondamentali, anche se oggi la mentalità digitale e l’enorme quantità di materiale a disposizione ci porta a navigare più in superficie e a sfiorare a volte troppo velocemente gli argomenti o la conoscenza dei vari artisti.
Di seguito il video della prima giornata del Festival di Simala “Pedras e Sonus”.