Un’analisi del “Collettivo Amsicora”, pubblicato in internet. Sulla situazione del Banco di Sardegna riferisce di una ipotesi di rottura tra Fondazione del Banco di Sardegna e la BPER ( che, come noto, ha il controllo sul Banco di Sardegna). In particolare sembrerebbe che “la Fondazione di Sardegna, presieduta da Antonello Cabras, abbia acquisito recentemente altre azioni della banca modenese, raddoppiando la sua partecipazione tanto da portarla quasi al 6 per cento del capitale e divenendo così uno dei primi tre azionisti singoli».”. L’acquisto verrebbe interpretato come un atto ostile contro la BPER “»..o – almeno – un’arma di pressione [ di cui uno degli obiettivi ] potrebbe essere quello di riuscire ad ottenere una migliore autonomia operativa del Banco, rafforzandone così il radicamento nel territorio, anche attraverso una direzione generale non più “Modena-dipendente””.

L’articolo prosegue con altre interessanti considerazioni.

Se i fatti sono acclarati mi sento di esprimere una prima considerazione: finalmente, almeno la Fondazione Banco di Sardegna si è mossa. La circostanza mi offre al possibilità di riproporre un’analisi fatta in tempi non sospetti ( 2014 ) , attraverso un’articolo nel quale sono state individuati le origini, le modalità ed i rischi che hanno costituito il brodo di coltura di problematiche che in via predittiva avrebbero potuto prodursi e che, in realtà, si sono prodotte.

Ve lo propongo in lettura.

Gianni Pernarella

Banco di Sardegna S.p.a: corresponsabilità interne ed esterne

Polemiche interne ed esterne ( La Nuova 14/3/2013), connesse al perpetuarsi di nomine politiche nelle due presidenze della Fondazione e del Banco di Sardegna SpA, coesistono con i tardivi fuochi d’artificio di un Consiglio regionale che ha dato vita ad una Commissione Speciale d’indagine sulla crisi del credito (La Nuova 23-24/3/2013).

Su La Nuova del 28/3/2013 anche l’economista F.Pigliaru si sofferma sulla vicenda Banco-Bper con un’analisi di spiccato taglio economico-finanziario che mi permetto di condividere solo in parte in quanto impostata con un’ottica “alta” ed “esterna”; che non considera invece una lettura dei punti critici in un’ottica “interna” ed i risvolti “esterni” che queste criticità non risolte hanno generato e continuano a generare. Questo è il contesto su cui intendo soffermarmi come contributo di riflessione per ciascuno dei protagonisti ( che come si vedrà non sono pochi) sulle proprie responsabilità ed omissioni, piuttosto che su quelle degli altri. Su ciò che avrebbe potuto e dovuto fare e non ha fatto e su ciò che ragionevolmente può ancora fare.

Un contributo di analisi per indirizzare l’azione su alcuni punti focali e fondamentali.

Ricordo preliminarmente come con largo anticipo(La Nuova 1/9/2004) avevo evidenziato per tempo, nel silenzio generale, i rischi potenziali e le cause connesse, che le esternazioni dell’ex presidente Antonio Sassu ,ospitato più volte su La Nuova, hanno implicitamente dimostrato, due anni dopo, essersi trasformati da potenziali in attuali.

Vorrei sinteticamente esplicitare, in modo logico e progressivo, il concatenamento dei punti focali che costituiscono cause prime che hanno delineato il contesto della vicenda.

Gli elementi di potenziale criticità nascono e si sviluppano nell’esercizio di una ben precisa “presidenza”, coeva all’uscita del Direttore Generale Angelo Giagu de Martini, e concomitanti alla trasformazione del Banco in SpA:

 

1- Il primo degli elementi di criticità va individuato nel contesto di alcune norme dello Statuto della SpA, fortemente voluto in quella deleteria formulazione. Tali norme presentano elementi di distrofia giuridica credo unici che, in palese conflitto di interessi, non vede – come dovrebbe – poteri di gestione operativa intangibili e codificati statutariamente in capo alla figura dell’Amministratore Delegato, ma li vede invece attribuiti allo stesso Consiglio d’Amministrazione e per esso al suo Presidente, delegabili poi a piacere al Direttore Generale.

Non v’è chi non veda in siffatta formulazione, insieme ad un palese conflitto di interessi, uno strisciante e potenziale rapporto di acquiescenza tra Direttore Generale e Presidente, sotto la spada di Damocle di deleghe che possono aprirsi e chiudersi come un organetto.

Un progetto di Statuto così strutturato ha avuto l’incomprensibile placet della Banca d’Italia ( sotto il governatorato di A. Fazio).

 

Come ex rappresentante sindacale di lungo corso evidenziai con lettera aperta il problema ai sindacati aziendali che, sottovalutandone evidentemente la portata, trascurarono di porla al centro di azioni di contrasto. Ma a parte il sindacato la domanda di ieri e di oggi è: la Fondazione, i protagonisti della politica regionale dov’erano? dove sono? No si sono resi conto di niente?

Che i rischi di questa sciagurata previsione statutaria si siano trasformati da potenziali in attuali, lo hanno dimostrato le successive vicende del Banco che hanno visto, da un lato, errori di gestione imputabili al CdA e, dall’altro lato, una girandola di Direttori Generali che si sono succeduti, nel periodo di presidenza citato, accompagnati da stuoli di dirigenti che qualche volta, fortunatamente , riuscivano al seguito.

Segnalo che le norme statutarie citate sono tutt’ora vigenti!

2- Il secondo elemento di criticità nasce con la vendita del Banco alla Bper ed è legato alla tematica di Banca “federata”, che fa parte degli accordi di vendita.

Ora se in un accordo siffatto in cui si ha cessione della maggioranza della proprietà, non sono resi evidenti, come è stato, i confini, gli ambiti e le modalità di espressione di questo federalismo, il termine diventa contenuto di se stesso. Cioè è un puro nominalismo privo di concretezza strategico-operativa e gestionale. L’omissione segnala anche la scarsa competenza e superficialità degli organi che hanno strutturato e deliberato l’accordo di vendita.

La lamentata perdita di autonomia stigmatizzata dal Prof. Sassu (La Nuova 6/1/2006) ne è una evidente e quasi inevitabile conseguenza.

Ancora una volta la domanda è: possibile che gli organi amministrativi del Banco e della Fondazione non si siano resi conto che il richiamo all’introdotto federalismo bancario senza una delineazione del suo contenuto era ed è un puro nominalismo? I protagonisti della politica hanno forse svolto una qualche riflessione in questa direzione ed assunto comportamenti ed azioni conseguenti?

A me sembra che questi fatti e temi così sensibili e gravidi di conseguenze siano passati sotto il silenzio ed il disinteresse più totale.

Sul punto, per uscire dal vago, è bene chiarire quale sia il profilo che dovrebbe connotare, a mio avviso, un modello federale in ambito creditizio: un modello strategico-operativo che, a fronte di una strategia unica di Gruppo, delineata con il contributo di tutte le banche federate in una logica bottom-up (e non up-down), vede ciascuna banca contribuire pro quota al raggiungimento degli obiettivi:

– in piena autonomia

– con il pieno controllo delle proprie strutture

– in modo aderente alle caratteristiche del territorio in cui svolge la propria attività.

Nella realtà invece nelle due banche del gruppo: Banco di Sardegna e Banca di Sassari, si è assistito nel tempo:

a- ad un progressivo e deciso svuotamento dei poteri decisionali delle strutture operative centrali, con un intuibile affievolimento dell’autonomia operativa;

b-ad una progressiva sostituzione degli uomini di vertice e dintorni delle strutture centrali di estrazione interna, con uomini Bper. Ne è conseguito un evidente e netto affievolimento di conoscenza delle caratteristiche della realtà operativa territoriale, che è lecito interpretare, oltreché mortificante per il personale delle due banche, funzionalmente utile a rendere più effettivo quanto in evidenza sub a-;

c- ad un progressivo e conseguente scollamento delle due banche rispetto al territorio; generando caratteristiche di indifferenzialità delle stesse rispetto alle altre realtà creditizie operanti in Sardegna,

annullando sostanzialmente la caratterizzazione che in precedenza le distingueva. Si è facilitato così la perdita di quote di mercato;

d- una generale ed accentuata demotivazione del personale, soprattutto della Rete, connessa alla consapevolezza del proprio status di subalternità a seguito delle politiche adottate dalla Bper nei

confronti delle banche federate (sic!);

3- Il recente piano industriale della Bper sembrerebbe prevedere ( senza esserne al momento note le modalità) il passaggio alla Bper della rete delle filiali fuori dell’Isola.

Ammesso che questo si realizzi, di nuovo con l’acquiescenza più totale della Fondazione, dei Sindacati e della Politica, è delineabile – collegandolo a quanto già avvenuto ed evidenziato in precedenza – uno scenario di questo genere: un progressivo soffocamento dello spazio operativo del Banco di Sardegna funzionale, nel tempo, a giustificare un progetto di fusione del Banco nella Bper.

La conseguenza essendo chiara: la scomparsa del Banco.

Quello che oggi appare difficile, date le dimensioni del Banco (che è pressappoco grande quanto la capogruppo Bper), domani, attraverso una progressiva sottrazione di spazi operativi esterni a fronte di una già avviata limitazione di autonomia, potrebbe diventare del tutto possibile.

Del resto la capogruppo Bper ha già provveduto, salvo errore, ad inglobare per fusione la Cassa di Risparmio di Vignola; la Banca Popolare di Matera e qualche altra controllata di ridotte dimensioni.

Se i vuole questo, continuino i diversi soggetti interni ed esterni a non affrontare quelli che a me sembrano i veri nodi del problema e a fare finta di niente o a fare finta di chiudere la stalla quando

parte dei buoi sono scappati e altri continuano a scappare.

Gianni Pernarella

già Vicedirettore di I^

del Servizio Organizzazione

del Gruppo Banco di Sardegna