“Contraffazioni, frodi, concorrenza sleale, abusivismo, lavoro nero ed assenza di un marchio specifico. Sono le criticità che stanno contribuendo allo smantellamento dell’artigianato artistico e tradizionale ” (SoS dell’Artigianato La Nuova del 19/3/2017 – vedi anche Salviamo l’Artigianato L’Unione 28/3/2017 ).

Sono queste le lamentele del settore che, come noto, annovera qualità di eccellenza nella tessitura, ceramica, coltelleria per citare le produzioni maggiormente soggette a contraffazioni.

In realtà siamo di fronte ad un problema non nuovo e che a suo tempo aveva portato alla stesura della L.R. 27/4/1984 n° 14, istitutiva del “Marchio di origine e qualità dei prodotti dell’artigianato tipico della Sardegna”.

I risultati deludenti, per non dire fallimentari, legati all’adozione del “Marchio” a seguito della citata legge, sono a mio avviso riconducibili a due criticità fondamentali:

a – l’inadeguato approccio, permeato di un alto tasso di genericismo, che ha caratterizzato a suo tempo la problematicità del marchio di origine e qualità;

b – il conseguente alto livello di pressappochismo ( per non dire di peggio ) nelle modalità di gestione dell’assegnazione del marchio alle imprese.

Va peraltro sottolineato che l’adozione del marchio, non diversamente da quanto avviene in altri settori – si pensi all’enologico – appare fondamentale, sia in ambito interno sia esterno, quale strumento di tutela delle produzioni dell’artigianato artistico ed identitario.

La sua validità è però legata alla reale capacità di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo primario: ottenere dall’artigianato artistico ed identitario sardo tutta la potenzialità economica di cui è capace.

L’essenza del marchio è pertanto quella di incorporare ed esprimere informazioni adeguate all’obiettivo da raggiungere.

L’approccio proposto, superando il genericismo che è stato la causa del fallimento citato, mira ad individuare gli elementi da analizzare per definire l’adeguata cornice informativa che esso dovrà incorporare.

La metodologia di analisi, che si attaglia particolarmente alla problematica della tessitura dei tappeti – che, forse, unitamente alla ceramica è la più complessa – ma che è sostanzialmente riferibile con maggiore semplicità ad altre attività dell’artigianato tipico, è quella che consente, per successive approssimazioni, di individuare il filo della complessa matassa di problemi che si agitano dietro il marchio.

In prima approssimazione, occorre enucleare la funzione che il marchio deve svolgere nell’attuale realtà di mercato. Una realtà che vede, da un lato, consumatori non sufficientemente informati sulle variabili che determinano la gradualità qualitativa del prodotto “tappeto”; pur in presenza di un generale ma anche generico apprezzamento.

Dall’altro lato, troviamo una realtà produttiva sempre più problematica per la presenza di inquinamenti esterni (produzioni spacciate per sarde) ed interni.

Possiamo pertanto assumere come funzione di prima approssimazione da far svolgere al marchio, quella di contribuire al raggiungimento di una migliore trasparenza del mercato:

° dal lato del consumatore

  • Garantendo natura e qualità delle materie prime utilizzate
  • Fornendo esplicite informazioni sul sistema di produzione e sul tipo di lavorazione;

° dal lato delle imprese

  • Come difesa dall’inquinamento esterno
  • Per uno svolgimento concorrenziale tra le imprese isolane produttrici maggiormente trasparente, in ordine alla localizzazione di origine, tipo di lavorazione e sistema di produzione.

In seconda approssimazione, occorre porsi il problema relativo al grado di selettività che si vuole raggiungere attraverso il marchio. Questo deve essere desunto attraverso l’analisi di una intelligente e moderna interpretazione della tradizione. Occorre pertanto indirizzare l’analisi alle caratteristiche, con riferimento a:

  1. Materie prime utilizzabili
  2. Tipi di lavorazione
  3. Sistemi di produzione

Rispetto a cui determinare il grado di selettività che il marchio stesso dovrà incorporare.

Il grado di selettività può infatti correre, in via teorica, tra un minimo determinato dall’attribuzione del marchio in presenza di una sola delle caratteristiche indicate, sino ad una massimo determinato dalla contemporanea presenza di tutte e tre le caratteristiche, una volta che esse siano stabilite.

Occorre tuttavia chiarire che il massimo grado di selettività può in teoria non coincidere con il massimo grado di funzionalità.

Per la risoluzione del problema, cominciamo ad approfondire ogni caratteristica:

Materie prime utilizzabili – qui l’analisi si pone sotto il duplice profilo della natura e qualità della materia prima stessa. Non ci soffermeremo oltre misura a richiamare gli elementi della tradizione, per concludere che la materia prima che dovrà ammettersi è la lana, potendosi consentire – per motivi di evoluzione produttiva e di design – l’aggiunta, entro percentuali prestabilite, di cotone. L’una e l’altra componente dovrà essere di ottima qualità.

Tipi di lavorazione ammessi – anche in questo caso è abbastanza agevole sostenere che i tipi di lavorazione ammessi saranno esclusivamente quelli tipicamente tradizionali: “annodato”, ” a pibionis “, ” lavorazione di Tonara, Nule, Sarule” e credo che l’esemplificazione esaurisca anche, forse, i tipi di lavorazione.

Sistema di produzione – l’analisi di questa componente è, probabilmente, la più complessa concernendo il quesito sull’ammissibilità o meno, nell’ambito del marchio, dei tre sistemi di produzione a telaio più in uso: a) interamente manuale; b) semiautomatico; c) automatico.

Cominceremo con il supporre, secondo buona logica, che tra le aspettative e speranze vi sia quella di acquisire a questa attività artigianale quote maggiori di mercato. D’altra parte, se è pur vero che il telaio manuale costituisce una componente della tradizione, si vorrà ammettere che esso, come ogni altro strumento di lavoro, è soggetto ad evoluzione. Quell’evoluzione che è alla base dell’ampliamento del mercato cui si vuole assicurare, a quest’attività, quote più ampie. Acquisizione possibile però solo con tecnologie produttive più avanzate e peraltro – come visto – già operanti.

Si può peraltro aggiungere che la lavorazione al telaio manuale, come la scelta dei colori e la ricerca di nuovi disegni, determinano un maggiore pregio del manufatto, sia pure nell’ambito di uno standard che le prime due caratteristiche qualificano come tipico e di qualità. In definitiva, si può fondatamente sostenere che, a parità di ogni altra condizione, il manufatto prodotto al telaio manuale, incorporando un maggior costo di produzione, è suscettibile di acquisire maggiore pregio.

Ora, poiché questo si riflette in un prezzo di vendita sicuramente più elevato rispetto a quello prodotto con il telaio automatico, è ragionevole ritenere che i due prodotti si inseriranno in segmenti di mercato diversi. Ciò porta a concludere che i manufatti prodotti con i tre sistemi non sono in concorrenza tra loro, essendo rivolti a segmenti di mercato diversi.

Questa conclusione, tuttavia, è vera in un mercato che abbia un sufficiente grado di trasparenza, ma – per le ragioni indicate – perde a mio avviso consistenza nell’attuale realtà. Ritorna vera ove al marchio venga assegnato, ad un sufficiente grado, questo obiettivo-informazione.

Ciò vuol dire – ove si condividano le osservazioni e conclusioni si qui tratte – che se può ben ammettersi, per le argomentazioni addotte, che il marchio accolga tutti e tre i sistemi di produzione, non può invece ammettersi che lo faccia in modo indifferenziato sotto il profilo informativo. Verrebbe infatti lesa la qualità dell’informazione data al consumatore, nonché il grado di trasparenza delle condizioni di concorrenza tra le imprese. È infatti del tutto ovvio che il tappeto prodotto al telaio manuale incorpora costi tecnico-produttivi maggiori, di cui un marchio a struttura indifferenziata non fornisce al mercato alcuna informazione sulla circostanza che il prodotto è suscettibile, per il maggior pregio, di avere un prezzo differenziato, rispetto ad altro diversamente prodotto.

Queste ultime osservazioni portano alla conclusione di una necessaria diversificazione del marchio relativa all’informazione tecnica, attuabile, ad esempio, tramite una diversificazione di colore, correlata al sistema di produzione utilizzato; che sarà così resa immediata alla vista oltreché – come si dirà – alla lettura dell’informazione.

Sarà poi il mercato, edotto dalla corretta informazione fornita dal marchio, a discriminare la produzione; cui il marchio stesso garantisce in assoluto oltre all’origine, uno standard qualitativo predeterminato da componenti conformi agli elementi della tradizione: che fanno del manufatto un prodotto tipico sardo.

Ove si sottoponga lo schema operativo conclusivo alla verifica della funzione assegnatagli in premessa, se ne constaterà il notevole grado di rispondenza nella creazione di maggiore trasparenza informativa del mercato, sia dal lato del consumatore sia dal lato del produttore.

Si potrà osservare che il secondo dei problemi indicati nella premessa – attinente gli aspetti di gestione e assegnazione all’uso del marchio – non è stato in apparenza trattato.

In realtà le implicazioni relative sono state tenute in debita considerazione nell’approccio all’analisi. Si apprezzerà, infatti, che lo schema riconduce implicitamente la funzione di gestione del marchio all’assunzione delle responsabilità connesse all’autorizzazione all’uso del marchio stesso; al controllo ed alla sua revoca. La struttura ipotizzata consente infatti di circoscrivere al massimo i possibili inquinamenti nell’utilizzazione dei poteri di gestione che travalichino – coscientemente o meno per eccesso di soggettivismo – il naturale schema di correttezza istituzionale.

Coerentemente con l’analisi svolta, lo schema operativo regolamentare del marchio dovrebbe appuntarsi, in particolare, sulla definizione dei seguenti aspetti:

A – Ambito di applicazione – produzioni tipiche, tutte o parte da identificarsi, dei settori: tessitura; ceramica; lavorazione dell’oro; lavorazione del corallo; coltelleria; legno e paglia; pelli e cuoio;

B – Precondizioni assolute di ammissibilità – iscrizione dell’impresa all’Albo delle imprese artigiane e regolare applicazione delle leggi e dei contratti di lavoro;

C – Con particolare riferimento alla tessitura, ma con uno schema valido per altre produzioni:

Materie prime utilizzabili

Natura: lana o misto cotone, quest’ultimo in percentuale non superiore a »%

Qualità: 1^ qualità

Colorazione: vegetale, chimica

Tipi di lavorazione ammessi

Annodato

A pibionis

Lavorazione di Tonara, Sarule, Nule

Sistemi di produzione a telaio ammessi

Manuale

Semiautomatico

Automatico

D- Struttura del Marchio

Il marchio è costituito da una targhetta di cui, oltre alla obbligatoria indicazione della ditta produttrice, una parte riporterà il logo ed una parte i seguenti dati obbligatori:

° Località di origine

° Materie prime utilizzate: natura e qualità

° Tipo di lavorazione

° Sistema di produzione

Il “Marchio” avrà, in ipotesi, colore bianco, giallo o verde a secondo che il sistema di produzione sia alternativamente: Manuale, Semiautomatico, Automatico.

Gianni Pernarella