Uno dei primi studiosi a teorizzare la competizione elettorale come un mercato fu Anthony Downs (Una teoria economica della Democrazia, 1957). Semplificando molto il suo pensiero, si può dire che la competizione elettorale è da intendersi come quella tra due aziende in uno spazio fisico, lo spazio sinistra – destra. Il posizionamento in questo spazio incide sulla scelta del “prodotto” preferito dagli elettori.
In altre parole l'elettore sceglierà di acquistare dal partito che si trova più vicino alla sua posizione.
A Downs si deve dunque la teoria dell'elettore mediano, secondo cui i partiti tendono a posizionarsi in prossimità del centro dello spazio per massimizzare i propri voti.
Le teorie economiche sul voto hanno avuto nel tempo una evoluzione, superando Downs, introducendo uno spazio pluridimensionale di confronto, fino ad arrivare al concetto di marketing elettorale, inteso come “processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotti e valori. È l’arte e la scienza di individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto (vittoria elettorale).
Attraverso le strategie di marketing, ogni partito lavora per costruire il proprio brand e rendere visibile e innovativa la propria offerta al fine di rendere appetibile il voto/acquisto del consumatore/elettore.
Come si trattasse di un prodotto sul mercato, uno smartphone o un videogioco. E come un prodotto di questo genere, il ciclo di vita di tali oggetti è relativamente limitata, poiché vengono sostituiti da nuove versioni, più avanzate e gradite ai consumatori. Questa dinamica porta a una grande volatilità del voto, per ragione del quale a grandi successi elettorali seguono spesso grandi sconfitte.
Il nodo cruciale sta proprio nell’errore commesso da molti partiti, che invece di giocare il ruolo della Company, si descrivono come il prodotto da acquistare. Il “prodotto partito” ha dunque un ciclo di vita ridottissimo. Nel mercato il prodotto di Apple ha una vita di pochi anni, ma la Company rimane leader del mercato da diversi lustri.
Cosa manca dunque ai partiti, per diventare come la Apple e per non essere come Nokia? Ritengo, due elementi:
-non si punta alla bontà del prodotto ma solo a soddisfare pulsioni contingenti del consumatore. Oltre alla campagna pubblicitaria roboante e ai colori accattivanti c'è poca qualità nelle prestazioni del prodotto, e l'elettore consumatore se ne avvede.
-non c'è customer care: una volta venduto il prodotto (ottenuto il voto), il consumatore viene abbandonato a se stesso. La prossima volta comprerà da qualcun altro.
In altre parole, ai partiti manca la percezione che le competizioni elettorali non sono un unico gioco, ma a una ne seguiranno altre (gioco ripetuto un numero finito di volte). Così come le Company della telefonia sanno che oltre al prodotto che stanno vendendo adesso, dovranno vendere anche quello che produrranno dopo due anni, i partiti dovrebbero centellinare energie e proposte nel tempo, in primo luogo per poter effettivamente mantenere le promesse e rendersi affidabili agli occhi del consumatore/elettore, e in secondo luogo per avere spazi e possibilità di proporre altri prodotti in futuro, simili al precedente, ma migliorati.
Il problema, probabilmente, è la differenza di gestione delle aziende. Mentre le Company hanno una certa stabilità del proprio management e gli azionisti preferiscono ragionare sul lungo periodo, i partiti sono soggetti a maggiori turbolenze, le leadership rischiano continuamente di essere spodestate e gli azionisti pretendono risultati immediati. La cultura organizzativa dei partiti, in altre parole, non è adeguata al fabbisogno di stabilità di cui la stessa organizzazione necessita.
Insomma, ammesso che la competizione politica sia da gestire come un mercato, sarebbe ora che i nostri partiti capiscano come il posizionamento del proprio brand possa durare nel tempo. A prescindere dalla brama dei propri leader.
Riccardo Scintu
Ha conseguito nel 2010 il Dottorato di Ricerca in Scienza Politica presso l’Università di Bologna, sede di Forlì. Laureato nel 2006 all’Università di Bologna in Scienze dell’Organizzazione e del Governo. Opera in numerosi enti locali della Sardegna come componente esterno di organismi di valutazione delle performance e come consulente sulle tematiche dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane.