Dalla ricerca sul campo effettuata in tutta la Sardegna è risultato, in maniera inequivocabile, che la medicina popolare, pur avendo perso la sua originaria struttura di sistema, è tuttavia ancora ampiamente praticata nelle sue tre forme: terapie empiriche, terapie magiche e terapie miste. Per terapie empiriche si intendono quelle la cui efficacia è riposta esclusivamente sull’azione di un principio attivo (erbe, unguenti, decotti, oli, cataplasmi ecc.); sono considerate terapie magiche quelle in cui il principio attivo è costituito esclusivamente da un elemento simbolico (preghiere, brebus, formule, riti terapeutici, gesti magico-religiosi); infine, le terapie miste sono quelle che contengono elementi sia di carattere empirico che magico e in cui l’efficacia terapeutica è riposta su uno solo dei due elementi, mentre l’altro ha una funzione che potremmo definire di supporto.
Si sa che la medicina tradizionale ha radici profonde nei secoli, per non dire nei millenni, e che essa si è alimentata nel suo percorso storico anche di certe pratiche terapeutiche tratte, perché abbandonate, dalla medicina culta. Sarebbe sufficiente prendere in esame una delle diverse farmacopee del 1800, per renderci conto di questo fenomeno. Se poi scendessimo indietro nei secoli fino a Plinio e alla “Naturalishistoria”troveremmo ancora più evidenti le tracce delle radici della “nostra” medicina popolare.
Tuttavia, anche senza dover ricorrere a queste opere, abbiamo oggi la possibilità di mettere a confronto il modo di essere di una guaritrice attuale con quello di una guaritrice del 1500/1600, nella Sardegna dell’Inquisizione.Questo lo dobbiamo da un lato all’ArchivoHistoricoNacional di Madrid, che ha custodito tutti gli atti del processo dell’Inquisizione in Sardegna, contro Julia Carta; dall’altro all’impegno e alla passione con cui il prof. Tomasino Pinna (1949-2016) ha profuso nello studio di quegli atti, concluso con il volume“Storia di una strega”. L’Inquisizione in Sardegna. Il processo di Julia Carta. Edes, Cagliari.Questo confronto mette in evidenza la continuità tra le terapie praticate da Julia Carta (tra la fine del 1500 e la prima metà del 1600) e quelle ancora in uso oggi in Sardegna.
Per cogliere in profondità questa continuità ritengo necessario procedere innanzitutto all’individuazione di eventuali elementi di continuità tra il contesto socio-economico e culturale in cui visse e operò Julia Carta e l’attuale contesto in cui operano oggi i guaritori della Sardegna. È evidente che cinque secoli hanno modificato profondamente società, economia e cultura, per cui i due contesti ci appaiono – e sono – decisamente differenti. Eppure, ferma restando questa immensa differenza, persistono elementi di continuità che spiegano il permanere di diversi riti magico-terapeutici.
La dimensione sociale in cui opera Julia Carta è quella che potremmo definire, per semplificare, popolare, che comprendeva quindi gli strati più umili, che non avevano nessuna possibilità di accesso ai livelli alti della medicina ufficiale del tempo, che vivevano in una condizione quotidiana di precarietà più o meno drammatica e che avevano come unico punto di riferimento nella lotta alla malattia i guaritori come Julia Carta.
Ma chi era Julia Carta? Figlia di un muratore, nata a Mores, trasferita a Siligo, dopo essersi sposata con un umile contadino da cui ebbe sette figli, solo uno sopravvissuto. Donna semplice a cui la madre aveva insegnato tutti i rudimenti per una buona padrona di casa, mentre la nonna le aveva tramandato quelle competenze che avevano fatto di lei una guaritrice e indovina. Col tempo la sua fama andò crescendo, così che la cercavano anche da tutto il circondario. Julia conosceva il potere delle erbe e dei brebus, sapeva costruire amuleti difensivi. Il parroco di Siligo si adoperò nella ricerca di testimonianze contro l’operato di Julia. Seppe anche che Julia usava affermare che non era necessario confessare i propri peccati al sacerdote, per cui fu accusata di magia, eresia e stregoneria e incarcerata a Sassari, dove fu invitata a dire tutta la verità facendosi un esame di coscienza. Le confessioni avvennero tutte sotto tortura: ammise di aver compiuto tutte le malie di cui era accusata. Inoltre, ammise di aver avuto rapporti carnali col diavolo, di aver operato anche durante il soggiorno in cella. Infine, rivelò di aver avuto i suoi saperi dalla nonna, da una zingara e da una certa Tommasina Sanna. Subì due processi, il primo nel 1596, il secondo nel 1606. Dopo quest’ultimo processo non si hanno più notizie di Julia Carta, ma si suppone che sia riuscita ad evitare il rogo.
Questa in estrema sintesi la vicenda giudiziaria di Julia Carta col tribunale dell’Inquisizione. In realtà Julia non era, per usare un’espressione di Tommasino Pinna, “una monade, una cellula impazzita di un tessuto sociale”. Al contrario, era espressione di quella società. Il che vuol dire che le sue competenze non erano creazioni sue personali, ma che tutte le sue abilità e i suoi saperi facevano parte del patrimonio di una lunga tradizione in quella società in Sardegna. Ancora, la sua figura, il suo ruolo di esperta scaturivano unicamente dal consenso che le veniva tributato dalla comunità, consenso che, però, esigeva che Julia Carta prestasse la sua opera indistintamente a chiunque ne avesse fatto richiesta. A tutto questo bisogna aggiungere l’assoluta gratuità della prestazione, in quanto considerata, proprio da che la praticava, un’opera di carità.
Ebbene, nonostante i cinque secoli che intercorrono tra la guaritrice Julia Carta e gli attuali guaritori in Sardegna, nonostante l’enorme differenza tra il mondo di Julia Carta e quello degli attuali guaritori, nonostante tutto questo, quanto ho detto poco fa sulla società e sulla figura di Julia Carta, torna pari pari con la figura dell’attuale guaritore in Sardegna. con una necessaria e fondamentale precisazione: quando parlo di guaritori attuali mi riferisco a quegli operatori che rientrano nella fascia di età che va dagli 80 anni in su. Il motivo di questa selezione è presto detto: si tratta di quei guaritori che hanno conosciuto e assimilato gli ultimi frammenti della società e della cultura agropastorale, una società in cui per le classi più umili la precarietà dell’esistenza era un dato quotidiano, a cui si sopperiva col principio della solidarietà in tutte le sue forme.
Anche questi guaritori hanno operato quasi esclusivamente tra gli strati popolari; anche le loro abilità e i loro saperi non sono una creazione personale, ma rientrano nel complesso di una lunga tradizione; anche loro sono guaritori in virtù del consenso della società, consenso che impone che prestino la loro opera con assoluta gratuità a chiunque ne faccia richiesta; infine, anche questi guaritori definiscono la prestazione solo e soltanto un atto di carità.
Da tutto ciò si evince che mentre la grande storia, quella della formazione degli Stati, della Rivoluzione industriale, dello sviluppo della scienza e della tecnica, procede per grandi trasformazioni economiche, sociali e culturali, parallelamente a questi processi, in silenzio, senza nessun clamore, la piccola storia, quella delle vicende della vita quotidiana delle classi più umili, procedeva conservando i suoi saperi e tutta la sua cultura.
Pertanto, se determinate pratiche magico-terapeutiche sono sopravvissute, così che ancora oggi possiamo constatarne la vitalità, ciò è potuto accadere essenzialmente perché quelle pratiche hanno continuato ad avere presso le classi più umili una funzione importante: costituivano la risposta culturalmente adeguata a quella che potremmo chiamare la dimensione del negativo, che comprende non solo le patologie, ma anche gli stati critici attribuiti a spavento e malocchio, nonché i malefici scatenati dall’invidia e dall’odio delle persone nemiche.
Analizzando la figura di Julia Carta sotto il profilo delle competenze nell’ambito delle pratiche magico-terapeutiche, possiamo vedere in maniera più dettagliata quanto dei pensieri e delle abilità di quei tempi si sia conservato fino ad oggi. Julia Carta era esperta nel confezionare amuleti protettivi del genere scapolare. Presso i guaritori attuali è ancora diffusa la pratica dell’amuleto. Quelli a funzione protettiva riguardano quasi esclusivamente l’aggressione del malocchio. Fra gli amuleti di questo genere, probabilmente quello più antico è costituito da un pezzo di corno di muflone abrebau (a cui sono stati recitati i brebus). Ce ne sono poi tanti altri, fino a quelli più moderni (orologi, bracciali, catenine, collane ecc., a cui vengono recitati brebus). Lo scapolare è presente, ma più che con funzione protettiva, con funzione terapeutica, per la cura della sciatica e delle emorroidi in particolare. Amuleti controveleno vengono usati contro i pizzichi di insetti non meglio precisati.
Julia Carta era esperta di suffumigi, con i quali poteva apportare guarigioni e anche prevedere gli esiti di una malattia. Questa era la pratica terapeutica nella quale Julia eccelleva e con la quale curava diverse malattie, in particolare quelle indotte da maleficio. Gli elementi usati erano: cera, palma, incenso e acqua benedetta (in genere sottratta dall’acquasantiera all’ingresso delle chiese). Usava come contenitore una tegola, in cui faceva bruciare gli elementi per la produzione del fumo, con cui avvolgeva il malato. La cura veniva ripetuta tre volte. Nella terapia tramite suffumigi di Elias Pira (una guaritrice contemporanea di Julia) c’è un particolare che ritroviamo nel rito terapeutico di una guaritrice di Villanovatulo. Il rito consiste nel raccogliere in un crocevia quattro sassi, uno per ogni ramo della croce. Questi sassi vanno messi nel fuoco fino a diventare roventi. A questo punto vengono immersi nel recipiente contenente l’acqua benedetta, producendo una notevole quantità di fumo, con cui si investe il viso del malato coperto da un panno.La pratica dei suffumigi risulta ancora diffusa, anche se solo con finalità terapeutiche, esattamente per la cura degli stati critici attribuiti a spavento. Gli elementi usati per la produzione del fumo sono: incenso, cera del sepolcro di Cristo del giovedì santo, oppure della candelora, palma e fiori benedetti, i brebus. Meno usati altri elementi quali alloro, ruta, rosmarino, caffè macinato. L’uso della tegola come contenitore delle braci per produrre il fumo ha una funzione meramente pratica connessa con l’esecuzione del rito. Infatti, l’operatore magico deve muoversi tutto attorno al malato in modo che questo sia investito quanto più possibile dal fumo, che è l’elemento che esplica l’azione magica di espellere dal corpo del malato l’entità negativa che vi si è insediata.
Altra competenza di Julia Carta era quella di “abbrebai”, cioè di curare alcune patologie attraverso la recitazione dei brebus. Ebbene, nell’ambito della medicina popolare così come è praticata oggi in Sardegna, tutte le terapie magiche hanno al centro del rito la recitazione di preghiere e brebus. Addirittura diverse guaritrici curano particolari casi di mal di testa con i soli brebus e l’imposizione delle mani. Infine, vorrei soffermarmi brevemente su un aspetto particolare della pratica terapeutica di Julia Carta. Mi riferisco alla cura praticata per l’idropisia, che consiste nel far bere al malato una pozione contenente ossa ridotte in polvere di una persona morta di quella malattia. Nel corso delle mie ricerche non ho riscontrato guaritori che avessero quella competenza, però, ciò su cui voglio richiamare l’attenzione non è la patologia, ma la terapia. Il ricorso ai morti, fra i guaritori attuali è ancora presente per la cura dei porri, per la scrofolosi e per gli stati critici attribuiti a spavento. Per quest’ultima situazione sono significative le terapie praticate in due diverse località della Sardegna. A Lanusei, una volta effettuata la diagnosi attraverso il colloquio tra guaritore e paziente, ci si reca in cimitero e qui vengono eseguiti sul malato i due riti dell'”affumentu” e della “imbruscinadura” sulla tomba di una persona morta di morte violenta.
A Triei gli stati critici da spavento vengono curati facendo bere al malato una pozione contenente una sorta di polverina ricavata dalle ossa di un morto.
A questo punto si può notare come prendendo in considerazione un solo guaritore, sono emersi numerosi elementi di continuità tra le pratiche di Julia Carta e quelle dei guaritori attuali. Se prendiamo in considerazione invece che una singola figura di guaritore il problema generale della gestione della malattia nel mondo agropastorale, scopriamo che la medicina popolare non era quel fenomeno semplice, elementare che si crede generalmente, ma si trattava di un vero e proprio sistema, con una sua struttura, i suoi saperi e le sue regole. Proprio il fatto che, contrariamente alle apparenze, la medicina popolare costituisse un vero e proprio sistema, ha permesso che molto di quel patrimonio giungesse fino a noi.
Nando Cossu
Laureato in Storia e Filosofia all’Università di Cagliari, ha conseguito il diploma di Specializzazione in Studi Sardi con una tesi sulla medicina popolare in Sardegna. La medicina popolare e la cultura materiale dell’isola hanno costituito l’ambito principale della sua ricerca. Insegnante e dirigente scolastico, ha curato per la comunità Arci-Grighine la sezione del Piano di sviluppo socio-economico dedicata alle tradizioni popolari e alla cultura popolare e si è dedicato all’allestimento e alla cura del Museo del giocattolo di Ales. Per quanto concerne la medicina popolare, oltre a vari articoli, ha pubblicato il volume “Medicina popolare in Sardegna. Dinamiche, operatori, pratiche empiriche e magiche”, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1996 (presentazione di Enrica Delitala) e “A luna calante. Vitalitàe prospettive della medicina tradizionale in Sardegna “, Argo, Lecce, 2005 (presentazione di Giulio Angioni). L’ultima pubblicazione è stata “L’amore negli occhi. ” Rapporti fra i sessi e formazione della coppia nella società agropastorale sarda “, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2014.