Questo Post ha una trama un po’ complessa che proverò a semplificare attraverso tre premesse fondamentali, da considerarsi lo sfondo scenico.
1^ premessa –
In questa premessa è funzionale il richiamo e l’invito alla lettura del contenuto di un Post già pubblicato nel sito dell’Associazione:
Occupazione e trasformismo, vecchie logiche per “nuovi” protagonisti?
Nel quale, con l’utilizzo di una griglia di verifica costituita da: Quadro istituzionale; Coerenza comportamentale e Coerenza concettuale; ho svolto una verifica su fatti oggettivi in ordine alle divergenze di Lega e M5S tra propositi e comportamenti, che mi ha portato a concludere sull’esistenza di “»vecchie logiche di occupazione e trasformismo che sono le “cifre” anche dei supposti nuovi protagonisti della politica “.
Si tratta di un pezzo dello scenario da tenere ben presente. Rinnovo quindi l’invito alla lettura.
2^ premessa –
In questa premessa richiamo i concetti di “autoritarismo” e “autorevolezza”.
Chiunque abbia avuto esperienza di lavoro in aziende strutturate, cioè in aziende complesse, si è imbattuto in soggetti posti in varie posizioni di ruolo, più o meno apicali, lungo la catena del comando.
Una parte di questi soggetti hanno avuto il ruolo per essere nella categorie degli “yes men”, poco competenti e in genere scarsamente capaci nella gestione delle relazioni interpersonali del gruppo posto sotto la loro responsabilità, ma posti in posizione per fedeltà ai soggetti in ruolo sovraordinato. Sono gli “utili idioti”, anelli deboli della catena su cui verrà scaricata la responsabilità per errori compiuti dai superiori.
Questi soggetti tendono, a causa delle carenze sottolineate, a svolgere l’esercizio dell’autorità nelle forme dell “˜ ” autoritarismo”: sono io che comando, è uno slogan usuale di approccio che fa il paio con la tendenza contraddittoria a non assumersi la responsabilità per errori nelle decisioni prese, che si tenderà a scaricare su qualche subordinato del gruppo, imputandogli che le cose non sono state fatte come aveva detto il capo. Si tratta di soggetti che esercitano il comando ma non la responsabilità.
L’ “autoritarismo” è quindi una modalità individuale nell’esercizio del comando da parte del soggetto titolare dell’autorità che, sovente, copre come detto i limiti di competenza e incapacità al ruolo.
All’autoritarismo si contrappone l’ “autorevolezza” che non è frutto individuale ma il riconoscimento generalizzato dei soggetti del gruppo al titolare dell’autorità di ruolo, al quale viene riconosciuta competenza e capacità di gestione delle dinamiche interne al gruppo stesso, ma anche autonomia di pensiero e capacità di interlocuzione dinamica con i ruoli superiori della catena del comando. Si tratta di soggetti che nell’esercitare il comando se ne assumono per intero la responsabilità ( anche per eventuali errori dei subordinati ).
Anche questo è un pezzo importante dello scenario da tenere presente.
3^ premessa –
La “governance” dello Stato Italiano prevede l’esistenza di pesi e contrappesi nell’ambito dell’attività dell’Esecutivo, che deve svolgerla all’interno di un iter che vede il ruolo attivo ed indispensabile di altri organi statali.
Il perimetro parte dall’art. 81 della Costituzione, laddove prevede che “»ogni legge che importi nuovi e maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte” Senza coperture un provvedimento non può essere approvato. Le leggi con ricadute finanziarie presuppongono:
° una “relazione tecnica”( legge n. 468/1978 e n. 196/2009 ) che deve essere redatta dall’Amministrazione proponente;
° una verifica ex ante svolta, nell’ambito del MEF- Ministero dell’Economia e Finanze, dalla Ragioneria Generale per valutarne l’impatto finanziario, la coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica e la sostenibilità finanziaria. Il relativo “visto di conformità” ( c.d. bolli natura ) certifica l’adeguatezza della copertura.
Senza bollinatura la proposta non sarà controfirmata dal Presidente della Repubblica né trasmessa alle Camere.
Anche questo costituisce un pezzo dello scenario da tenere ben presente.
Veniamo ora al cuore del Post: il “Decreto dignità”, ovvero la polemica innestata da Di Maio con l’appoggio di Salvini sulla supposta “manina” che ha introdotto le valutazioni INPS, come conseguenza della stretta sui contratti a termine, sulla possibile perdita di 8 mila posti di lavoro all’anno.
Quello che cercherò di dimostrare – e le premesse svolte risulteranno funzionalmente utili – è il fatto che l’esistenza di “supposte” logiche complottiste e sabotatrici sono strumentalmente utili ad altri obiettivi, che attualmente restano dietro le quinte ma che già cominciano progressivamente ad affacciarsi.
Cominciamo a delineare i contorni del problema.
Personalmente ritengo che all’apice di questo Governo ci siano due “nani” quanto a competenza ( ma non due sciocchi ), la cui “cifra” comune distintiva politica è l’arroganza del potere – agitata in modo più scoperto dall’uno ( Salvini ) e in modo più paludato dall’altro ( Di Maio ) – talmente forte da averli portati, partendo da visioni programmatiche talora diametralmente opposte, a trovare un “collage” in cui convivono, come il diavolo e l’acquasanta, obiettivi politici assai contraddittori: “il contratto”.
Ho citato solo i due vicepresidenti, considerato che Conte, sino a quando non decida – se mai avverrà – di assumere e svolgere il ruolo autonomo e di coordinamento proprio del Presidente del Consiglio dei Ministri, ricopre al momento la funzione di “ventriloquo” dei due, in una posizione subordinata tipica di chi è sotto tutela. Un fatto credo unico nella storia della Repubblica.
Quello che mi sembra stia progressivamente risultando evidente per la coppia al governo è la quasi certa impossibilità di tradurre in concreto le promesse elettorali fatte, quantomeno secondo i profili e le modalità quantitative espresse. Se mai ciò avverrà saranno solo labili parvenze di quelle promesse:
° “Flat tax” che non è già ora aliquota unica e, credo, non sarà nemmeno “dual tax” ma, forse, revisione della riduzione delle aliquote da cinque a quattro ( lo avevamo già ipotizzato in un nostro Post ) accorpando quelle a 38 e 41% ( così sembra ) e comunque nel pieno rispetto della progressività di cui all’art. 53 della Costituzione;
° Reddito di cittadinanza che, al di là della definizione impropria data dal M5S al proprio disegno di legge, sarà in buona sostanza reddito di inclusione e sostegno, cioè REI, maggiormente finanziato attraverso una razionalizzazione e revisione della gamma dei vari interventi attualmente in essere.
Già tutto questo presupporrebbe un approccio politico ed intellettualmente onesto di coerente ufficializzazione sulla parziale revisione degli obiettivi politici di governo ( premessa 1 ).
In realtà siamo invece di fronte all’inizio di una palpabile insofferenza, tanto maggiore quanto più ci si rende conto che il governo della cosa pubblica si muove nell’ambito di un processo fatto, come detto, da pesi e contrappesi, da un lato, ( premessa 3 ) e, dall’altro, che nella struttura dell’Amministrazione vi sono ruoli svolti da soggetti che operano con autorevolezza e competenza, poco inclini a “legare l’asino dove vuole il padrone” ( premessa 2 ).
Veniamo al nodo centrale del problema. L’analisi mi porta infatti verso il personale ma fermo convincimento che l’obiettivo della polemica non sia il presidente dell’INPS Boeri, ma che il vero obiettivo dietro le quinte sia la struttura del MEF e più esattamente i soggetti chiave, cioè:
1 – Roberto Garofoli, capo di gabinetto del ministro Tria; Francesca Quadri, capo del coordinamento legislativo del MEF; Daniele Franco, capo della Ragioneria Generale; soggetti di indiscutibile competenza, autonomia di giudizio ed autorevolezza, con esperienze nazionali ed internazionali, in particolare l’ultimo, cui a Salvini e a Di Maio non basterebbero tre vite per cumulare un decimo dei loro”curricula”. Soggetti poco inclini ad assecondare passivamente i “desiderata” della coppia a scapito della dignità del ruolo svolto ( premesse 2 e 3 );
2 – ultimo, ma non per ultimo, nel mirino c’è lo stesso ministro Tria per l’autonomia e l’indipendenza con le quali ha fatto capire, a fatti, intende svolgere il proprio ruolo: assecondando per quanto possibile gli impegni del programma di governo, ma con le modalità, i limiti, le parzialità e la progressività dettate dal rigore necessario a tenere in ordine i conti pubblici ( premesse 2 e 3 ).
Tutto ciò sembra difficilmente accettabile da chi pretenderebbe invece passività di ruolo e allineamento non dialettico alle linee della “coppia”.
Il tempo ci dirà quanta e quale parte della mia analisi sia errata.
Concludo sottolineando che Di Maio e Salvini stanno già facendo fronte comune contro il Ministro Tria ( faccio riferimento al veto sulle nomine della Cassa Depositi e Prestiti ). È pur vero che il fronte comune è frutto di dissidi sottotraccia sempre più frequenti con il MEF: per i pochi spazi sia nella manovra pensata da Tria per la “Flat tax” ( la riduzione delle aliquote citata ) e sia per il Reddito di cittadinanza; per la “manina” imputata sempre al MEF che avrebbe aggiunto la scheda valutativa sulla perdita dei posti di lavoro al “Decreto dignità” ma, come è stato annotato, è un fronte al momento “»utile a nascondere le difficoltà a trovare un’intesa tra due partiti che finora hanno fatto riferimento a mondi molto diversi. E che, soprattutto in economia, hanno idee difficili da conciliare” ( Annalisa Cuzzocrea ).
Gianni Pernarella
Laurea in Giurisprudenza conseguita a Pisa e studi post laurea in Economia. Dipendente del Banco di sardegna dal 1973 al 2003. Dopo esperienza pluriennale di filiale, assume nel 1990 ruoli di responsabilità nella struttura centrale “Organizzazione e Sistemi Informativi” dove, in veste di funzionario capo progetto, ha gestito oltre 10 progetti organizzativi e relativi a sistemi informativi. Collaboratore per oltre 6 anni del SIL – PTO di Oristano; ha scritto quattro libri sulla materia del credito e dell'economia provinciale oristanese relativa all'artigianato.