La capacità di apprendimento dell’essere umano è potenzialmente illimitata, ma mai si potrà dimostrare la verità assoluta delle cose, poiché la nostra capacità di apprendere è filtrata dalla limitatezza dei nostri sensi e della capacità interpretativa dei nostri pensieri.
Più una realtà è complessa e composta da elementi astratti e relazionali, più sarà impossibile dimostrare una verità certa e risolutiva. Si potrà, al massimo, portare a supporto delle proprie tesi delle prove empiriche, indiziarie, indicatrici, mai definitive.
Nelle cose che riguardano la politica e la società è dunque impossibile dimostrare la realtà, descrivere i fenomeni in maniera oggettiva, tanto più perché elementi freddi, come il funzionamento delle istituzioni, si confondono con elementi caldi, come gli interessi, le pulsioni, le paure e le passioni delle persone.
L’autorità, l’autorevolezza e il consenso sono concetti cui siamo abituati, possiamo definirli ma non possiamo spiegarli compiutamente. Perché un uomo/donna politico/a ha consenso? Quando è autorevole? Quando è dispotico/a? Sono domande scivolose, le cui risposte saranno sempre parziali e incomplete.
Per spiegare questa difficoltà interpretativa, ha preso piede nel corso del ventesimo secolo una corrente di pensiero che descrive la realtà come un costrutto sociale, non vera in sé e per sé, ma vera poiché così costruita e percepita dalla complessa società post-contemporanea. Il Costruttivismo mette al centro della realtà percepita la comunicazione, intesa come lo strumento principale per la definizione della realtà sociale. Attraverso l’utilizzo dei media, dunque, si influenza la percezione della società e la si modifica effettivamente, senza cambiare norme, senza modificare le Costituzioni.
Si tratta di un paradigma che si contrappone al positivismo: da un lato una realtà esistente al di là della percezione, da scoprire attraverso analisi e dati fattuali, dall’altro una realtà esistente in quanto percepita, che non necessita di prove, ma che anzi ignora le prove che confutano la percezione stessa.
Questa lunga premessa è necessaria per spiegare che l’unico modo per comprendere realmente la realtà politica dei nostri giorni è considerare la percezione piuttosto che le prove empiriche. Chi prevale nella comunicazione politica, allo stesso tempo detiene l’agenda (le cose di cui si parla e ci si occupa) e il consenso (poiché il tema trattato è connotato in modo da renderlo strumentale ai propri fini). Non importa chi ha ragione, importa chi influenza la percezione.
L’utilizzo dei social network, che annullano la mediazione tra il comunicatore e il suo fruitore, permette di ignorare completamente l’approccio positivo all’indagine della realtà, puntando profondamente sulla percezione. È inutile dunque, proporre o produrre ricerche a sostegno o a confutazione di un concetto, il fulcro della comunicazione è la comunicazione stessa, attraverso cui si cavalcano i pregiudizi e si guida la percezione della realtà, traendone un vantaggio.
La costante delegittimazione degli intellettuali, che propongono una visione del mondo alternativa e solitamente più scomoda – perché meno netta, più sfumata, più complessa – è determinata dalla prevalenza della percezione sulla ragione, della paura sulla consapevolezza.
Credo, ne sono convinto, che anche chi affronti le battaglie politiche per far prevalere la verità, per migliorare la vita delle persone e non solamente per alimentare la propria posizione di potere, dovrebbe avere chiari questi concetti. La comunicazione politica si basa sulla percezione, sul costrutto, non sulla realtà per come è.
Credo esista un solo modo per evitare di dire bugie eppure sfruttare i mezzi di comunicazione a proprio vantaggio: contrapporre alla paura e all’istinto di conservazione la speranza del cambiamento. È giusto descrivere la realtà per come è, brutta e difficile, ma è importante che a questo messaggio venga accostato un messaggio di speranza, venga tracciato il percorso del cambiamento, in meglio. Occorre dunque contrapporre ai sentimenti di chiusura e di segregazione, l’apertura e la speranza di un mondo migliore, per tutti.
Diventare, finalmente, Progressisti.
Quale è il modello da seguire? Su questo non ho dubbi, il modello comunicativo è quello di Barack Obama. Un politico, un Presidente, che ha preso il potere nel periodo più buio dell’economia mondiale dalla crisi del 1929 e ha portato un messaggio di speranza, ha tracciato una mappa e ha perseguito il cambiamento, riuscendovi. E la vittoria di Trump nel 2016 non è una conseguenza dell’amministrazione Obama, è bensì la conseguenza della candidatura di Clinton, una persona competente ma non comunicativa, un personaggio che raccontava la continuità e non il cambiamento.
La società, anche se non è percepito chiaramente, persegue continuamente il cambiamento, inteso come superamento dello status quo. Talvolta prevale un’idea di cambiamento regressivo e reazionario, talvolta l’idea è rivoltaverso il futuro e il progresso. Essere progressisti significa perseguire il cambiamento verso il futuro e comunicarlo bene.
Riccardo Scintu
Ha conseguito nel 2010 il Dottorato di Ricerca in Scienza Politica presso l’Università di Bologna, sede di Forlì. Laureato nel 2006 all’Università di Bologna in Scienze dell’Organizzazione e del Governo. Opera in numerosi enti locali della Sardegna come componente esterno di organismi di valutazione delle performance e come consulente sulle tematiche dell’organizzazione e della gestione delle risorse umane.