Sabato 10 novembre scorso si è tenuto al Grande Hotel Terme Sardegna di Fordongianus un Convegno – Dibattito su “Cento anni di meridionalismo, da Nitti e Omodeo. Il Mezzogiorno oggi”.
Nel precedente pezzo “Cento anni di meridionalismo. Storia di un fallimento o nuovo inizio? Le Relazioni degli specialisti Giorgio Macciotta e Claudio De Vincenti“ ho illustrato le Relazioni svolte da Giorgio Macciotta e Claudio De Vincenti.
In questo pezzo illustro le Relazioni tenute da Antonio Sassu e Amedeo Lepore. Ho intenzione di fare un altro pezzo sull'iniziativa, per evidenziare il dibattito e la chiusura dei relatori. Aggiungerò delle mie proposte.
Antonio Sassu ha esordito dicendo che il divario tra Meridione e Nord è aumentato nel 2017, anche se tra il 2014 e il 2017 era diminuito. Cassese ci ha detto che il divario tra Nord e Sud è rimasto quasi al livello degli anni 50. Questo, nonostante gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno (Legge 10 agosto 1950, n. 646 – Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale e Legge n. 634 del 1957) e i successivi Patti. Il Sud ha il 56% del reddito del Nord.
Secondo Sassu le cause di tale divario sono imputabili a due fattori:
1. carenza delle infrastrutture e dell'industria nel secondo cinquantennio del 1900;
2. carenza lato Istituzioni e nella Cultura.
Anche nel primo cinquantennio del 1900, dal Sud, non essendoci altre possibilità di occupazione, molti si sono spostati verso il Nord nel pubblico impiego. Una scelta di questo tipo non ha impedito l'aumento della povertà e il capitalismo è diventato dominante. La qualità espressa dalla pubblica amministrazione era molto bassa, così come attestato anche da Turati e da Gramsci.
Nel successivo periodo repubblicano quella che fu definita, come prima descritta, come “meridionalizzazione”, come anche evidenziato in una ricerca di Cassese, è continuata fino al 2000: anche nel 1977 il 65% del pubblico impiego nazionale è costituito da meridionali, per cui tale tendenza sembra di lungo periodo. Pubblica amministrazione che, con la decentralizzazione, si occupa sempre di più anche dell'industria. Contemporaneamente, l'80% della domanda nel pubblico impiego al Nord nei posti vacanti è di provenienza meridionale.
Le cause della “meridionalizzazione” del pubblico impiego sono:
– l'assenza di sicurezza nel posto di lavoro;
– la garanzia di una carriera;
– il prestigio che può consentire;
– l'assenza di interferenza con la dirigenza della parte politica, almeno fino a poco tempo fa.
Cosa ha prodotto la “meridionalizzazione”:
– il distacco tra il paese reale e il potere pubblico, in quanto se la maggioranza è rappresentata da meridionali, l'intero paese non è adeguatamente rappresentato;
– il travaso di culture e di stili di vita, in quanto i meridionali la pensano in modo diverso, hanno una cultura diversa, si spostano per un certo periodo al Nord e, pur ritornando in certi casi al Sud, lasciano il segno della loro cultura;
– una distribuzione del personale squilibrata;
– ritardi nei procedimenti e negli atti. Per esempio, negli Uffici Giudiziari gli sfratti si realizzano in 250 giorni al Nord e in 1250 giorni al Sud.
Si può, quindi, evidenziare che ci sono fattori istituzionali e locali che sono preponderanti rispetto alla mancanza di industria e infrastrutture. Le Regioni e, in particolare, i Comuni non hanno fatto la loro parte e il divario tra il Nord e il Sud è aumentato.
Bisogna, quindi, puntare nel Sud a un miglioramento dei fattori istituzionali e culturali che, comunque, sono sempre più presi in considerazione anche a livello locale:
– la qualità e l'efficienza della pubblica amministrazione;
– le caratteristiche della Società Civile, che al Sud ha ancora un “capitale sociale” più basso;
– il ruolo delle Regioni.
Da questo punto di vista il primo cinquantennio del 1900 ha rappresentato una continuità negativa. Successivamente ci sono state buone riforme nella pubblica amministrazione (Cassese, Giannini), ma i risultati sono stati deludenti, con il gap tra il Nord e il Sud che non è dissimile da quello del primo cinquantennio del 1900.
Sia le Istituzioni che la Cultura sono responsabili di questo gap e lo si può vedere:
– nella giustizia;
– nella spesa per i servizi sociali;
– nella raccolta dei rifiuti;
– nel tasso di abbandono scolastico;
– nella durata dei processi giudiziari;
– nella durata dei procedimenti esecutivi.
Che cosa ha fatto lo Stato per il Sud? Molto in termini di reddito pro – capite, di benessere, nella istruzione, ma il divario è rimasto invariato rispetto al 1950: il reddito del Sud è il 56% rispetto al Nord. Inoltre, la qualità delle Istituzioni è molto più bassa al Sud, le Regioni e i Comuni hanno funzioni, risorse umane e costi più inefficienti (come l'Università e la Sanità), anche se il Sud ha espresso molto dal punto di vista filosofico, scientifico, tecnico ed economico. Pesano i seguenti fardelli, cause del divario:
– il familismo;
– il clientelismo;
– la criminalità;
– la corruzione;
– le politiche di breve periodo;
– la cultura e sensibilità prevalenti di tipo giuridico a discapito di quelle tecniche.
La questione del divario tra Nord e Sud esiste sempre. Le scelte politiche rispetto al Mezzogiorno sono state un grande fallimento: bisogna cambiare. Non possiamo continuare a dire, come si diceva una volta, che la causa sia stata la continua spoliazione del Nord nei confronti del Sud, come è successo subito dopo l'Unità d'Italia.
Sassu ha citato, a giustificazione di queste sue affermazioni sulla necessità di superare la fase della lamentazione, quanto affermato in merito da due grandi economisti: Daron Kamer AcemoÄŸlu (accademico ed economista turco naturalizzato statunitense e professore di economia al MIT) e Benjamin Graham (economista, professore universitario e imprenditore statunitense). Questi hanno modificato il modo di pensare sullo sviluppo.
Sia AcemoÄŸlu che Graham sostengono che la differenza di reddito tra territori corrisponde alle differenti scelte politiche ed economiche. Quello che è certo che chi attua delle riforme adeguate perviene in poco tempo a un progresso sociale ed economico. Perchè si concretizzi lo sviluppo serve una interazione proficua tra le Istituzioni e il mondo economico. Gli stessi P. I. A. (Programmi Integrati d'Area) sono stati un fallimento. A dimostrazione di questa affermazione Sassu riporta il caso di un P. I. A. che progettava la bonifica di un territorio che, alla prova dei fatti e delle verifiche dei funzionari regionali, non esisteva.
Sassu conclude il suo intervento citando Gramsci, che riteneva certa l'inefficacia delle soluzioni prospettate riguardo allo sviluppo quando non sono rivolte alla soluzione delle problematiche sociali.
L'intervento di Amedeo Lepore, che è possibile leggere nella sua interezza nel sito del “Centennale della diga del Tirso”, è iniziato con i ringraziamenti per l'opportunità di partecipare all'iniziativa.
L'intervento si è incentrato, sostanzialmente, sulle questioni di seguito descritte.
Il Mezzogiorno è andato, insieme a tutta l'Italia, molto avanti dall’Unità d’Italia in poi e questi progressi si sono realizzati grazie all’Unità d’Italia. È stato dopo la seconda guerra mondiale, con l’avvio della nostra Repubblica, che si sono realizzati i più importanti interventi nel Mezzogiorno, con la riforma agraria e con la Cassa per il Mezzogiorno e con l’azione della SVIMEZ, in particolare con la guida di Pasquale Saraceno.
“Giorgio Amendola ha avuto un merito. Quando parlava ai lavoratori e ai meridionali diceva: guardate, noi dobbiamo cambiare le nostre condizioni ma dobbiamo essere consapevoli dei passi avanti che il Mezzogiorno e tutto il Paese hanno fatto, perché non è la stessa cosa di trenta, quaranta e cinquant’anni fa, siamo andati avanti e da questa consapevolezza io credo che si debba partire.”
Il primo momento è stato l’inizio del Novecento, quando in Sardegna è stata realizzata la diga del Tirso, un'opera importantissima, come riconosciuto anche da cittadini del territorio.
“L’Italia è arrivata durante la seconda rivoluzione industriale alla sua prima rivoluzione industriale ed è riuscita però a recuperare terreno grazie all’opera di riformisti come Francesco Saverio Nitti, come Serpieri, come Beneduce, come Angelo Omodeo, che è l’ideatore di questa diga.”
Con la realizzazione della diga sono stati affrontati i seguenti due problemi:
– il ricambio industriale del Mezzogiorno, cominciando una prima fase di industrializzazione agli inizi del Novecento, di infrastrutturazione e di costruzione di opere pubbliche;
– fare fronte alla scarsezza delle risorse naturali, che è un dato di tutta l'Italia. La diga è stata un’opera tenace, che si è realizzata in Sardegna, è un’opera che sta a testimoniare la nostra capacità di andare avanti.
Gramsci a proposito dell’elettricità ammoniva dicendo che, contro la natura e contro la miseria, le opere pubbliche di risanamento e di irrigazione sono opere importanti, a cominciare da quelle che hanno portato l’energia elettrica.
Secondo Lepore quanto fatto in Sardegna non può essere definito un fallimento. Quello di Nitti degli inizi del secolo scorso è stato uno dei capitoli più importanti della storia del Mezzogiorno, perché il Sud è cresciuto a una velocità maggiore del resto del Paese.
In quel periodo c'è stata una tripla convergenza:
– una convergenza del Sud verso il Nord: il Sud è cresciuto più del Nord;
– l’Italia, complessivamente, si è avvicinata ai paesi più avanzati dell’Europa;
– l’Europa è cresciuta più degli Stati Uniti in quel tempo fra gli anni ’50 e gli anni ’70.
Questi risultati ci hanno consentito di reggere le sfide internazionali e di diventare un paese moderno: l’Italia è diventata la seconda potenza industriale dell’Europa e una delle principali potenze industriali del mondo.
Dove si è interrotto questo percorso? Secondo Lepore “si è interrotto negli anni ’70, per cause internazionali, la congiuntura internazionale, ma anche perché la politica e, in particolare, la nascita delle Regioni sono state un’esperienza che ha manifestato molti limiti, fin dalla loro origine. Li hanno manifestati quando hanno cercato non di sollecitare quel rapporto proficuo tra istituzioni pubbliche, competenza, tecnica, come è stato fatto con le dighe, con le infrastrutture e con l’industrializzazione, ma hanno cercato di gestire le risorse pubbliche a fini di consenso.”
Dice ancora Lepore “quando sono entrati i rappresentanti delle Regioni nel consiglio di amministrazione della Cassa per il Mezzogiorno quell’esperienza positiva ha cambiato totalmente di segno. E da lì è nato anche quel regionalismo sbagliato, che ha dato vita a una reazione al Nord e che ha portato a far sorgere una questione settentrionale, cioè l’esigenza, che poi oggi si manifesta in modo del tutto sbagliato con quella che viene chiamata “autonomia differenziale””.
A questo punto Lepore ha introdotto il tema del residuo fiscale, che è la differenza tra tutte le entrate (fiscali e di altra natura, come alienazione di beni patrimoniali pubblici e riscossione di crediti) che le Pubbliche Amministrazioni (sia statali che locali) prelevano da un determinato territorio e le risorse che in quel territorio vengono spese.
Al riguardo il membro del Comitato di Presidenza della SVIMEZ ha dichiarato che non crede sia ammissibile che alcune regioni si approprino di tasse che sono di carattere nazionale, ma che ci sia la necessità di garantire la perequazione che quella riforma del federalismo fiscale prevede e che è in grado di elevare le capacità e l’efficienza dell’amministrazione.
Il tema fondamentale, con l'autonomia differenziale, è che Nord e Sud sono interdipendenti. Lepore ha citato uno studio fatto da “Studi e ricerche Mezzogiorno”, che è della Banca San Paolo – Intesa, che ha messo in evidenza come le industrie più avanzate del Mezzogiorno, quelle dell’abbigliamento, dello spazio, dell’agroalimentare e dell’automobilistica hanno creato una interdipendenza con le industrie del Nord e che questa interdipendenza ha creato delle filiere da grande industria e piccola e media industria che sta guidando l’esportazione italiana, le parti più avanzate del nostro apparato industriale. Negli ultimi tre anni c’è stato un risveglio nel Mezzogiorno.
Dal 2014 al 2017 il Pil delle regioni meridionali (nel 2017 il Nord e il Sud sono cresciuti più o meno alla stessa velocità, lo 0,1 per cento di differenza) è cresciuto ad una velocità del 3,7 per cento, mentre il resto dell’Italia è cresciuta del 3,3 % e, inoltre, nel Sud, che è stato colpito gravemente soprattutto dalle crisi dell’apparato produttivo, in questi tre anni l’industria ha guidato la ripresa. L’industria è cresciuta del 18%.
Come è stato possibile questo? Perché ci sono stati investimenti nati dall'attuazione di politiche corrette applicate.
Adesso cosa bisogna fare? Bisogna puntare di nuovo a chiedere interventi dello Stato indifferenziati? Secondo Lepore questa scelta è impossibile: lo statalismo è stato un errore quando c’è stato e ha portato assistenzialismo e non sviluppo.
Ancora “Bisogna fare da soli? In questi anni c’è stata una crescita dell’impresa, dei giovani, dei talenti, della creatività del Mezzogiorno, come segnali importanti, però se non vengono messi a sistema, se non c’è un segnale, un intervento delle istituzioni pubbliche, non serve a cambiare la situazione del Mezzogiorno, non serve a superare il divario. Ci dev’essere una capacità di non interrompere la strada, anche di innovare se è necessario, ma di guardare soprattutto, anziché ad interventi di carattere assistenziale, allo sviluppo produttivo del Sud.”
Lepore conclude dicendo che ci sono le seguenti quattro direttrici, verso le quali il Sud deve andare per recuperare il divario rispetto al Nord:
– una riguarda i servizi. In questo settore c'è un divario drammatico rispetto al Nord dal punto di vista dell'erogazione dei servizi della pubblica amministrazione nel Mezzogiorno. C’è la necessità di innovare profondamente la pubblica amministrazione, di renderla digitale, di far arrivare nuove leve nella gestione della pubblica amministrazione, c’è la necessità di avere un rapporto tra pubblico e privato e di valorizzare l’opera che fanno la Scuola e l’Università. Dal Mezzogiorno nel periodo della crisi sono andati via quasi 800mila giovani, più di 200mila, fra quelli che sono andati via, sono giovani laureati. Oltretutto, questi giovani del Mezzogiorno sono stati formati bene dalle Università italiane e hanno avuto la possibilità di trovare all’estero o nel resto del Paese condizioni di occupazione, mancanti nel Mezzogiorno;
– la seconda riguarda il potenziamento delle politiche sociali per le situazioni gravi di disagio sociale e di povertà, distinguendo dall’assistenza fine a se stessa e realizzando l’accompagnamento all’occupazione, al lavoro;
– la terza riguarda la competenza, la ricerca e l'innovazione. Nel Sud bisogna puntare a un’industria altamente tecnologica, che sia il frutto di processi di ricerca e di innovazione;
– la quarta direttrice è l’industria, l’industria in quanto tale. Gli ultimi Governi, al riguardo hanno portato avanti tre misure molto importanti: il Credito d’Imposta per gli investimenti, i Contratti e gli Accordi di Sviluppo e “Resto al Sud” per i giovani, che hanno immesso investimenti produttivi nel Mezzogiorno molto consistenti. Nella nuova Legge di Bilancio non ci sono risorse che finanziano ancora questi interventi. Andranno avanti finché rimarranno risorse stanziate negli anni precedenti. Secondo Lepore “questo è un errore ed è un errore molto grave” e conclude dicendo che, oltre all'avvio delle ZES (Zone Economiche Speciali), è necessario ridurre il cuneo fiscale, per ridurre il costo del lavoro, per permettere al Sud di farcela e di collegarsi non solo all’Europa ma di avanzare verso una prospettiva di crescita nel Mediterraneo, che è il futuro del Sud.
Giampiero Vargiu
Laureato in Ingegneria elettrotecnica all'Università di Cagliari nel 1980. Sindaco del Comune di Villagrande Strisaili dal 1995 al 2000. Socio della Societ di Ingegneria TEAM SISTEMI ENERGETICISRL, che ha sede operativa a Oristano e opera in tutta la Sardegna. Esperto in efficienza energetica e fonti di energia rinnovabili