Nei giorni scorsi, con l'intento di avere una visione più precisa delle attività presenti nell'Area del Consorzio Industriale provinciale Oristanese, mi è capitato di arrivare, attratto da quello che mi sembrava un forte odore di zolfo misto a carbone, oltre la Capitaneria di Porto e la Sede del Consorzio Industriale, svoltando a destra, dopo l'ultima curva, sul proseguimento della Via G. Marongiu, poco oltre la IVI Petrolifera, in un lotto recintato, con all'interno dei grandi cumuli di carbone che, visto dall'esterno, sembrava ridotto già in polvere. All'ingresso e sulla strada di accesso erano presenti depositi di questo polverino. Subito dopo, alcuni grossi mezzi di trasporto articolati mi sono sembrati dirigersi verso quel lotto, presumo per caricare del carbone e trasportarlo altrove.
Preso dalla curiosità di voler capire il perchè dell'esistenza di un simile deposito che, almeno all'apparenza, mi era sembrato privo di ogni sistema di sicurezza e non conforme alle Norme in materia ambientale e della salute, mi sono adoperato, con le mie possibili fonti e utilizzando la rete, per approfondire la situazione che mi si è presentata davanti agli occhi.
Le domande che mi sono fatto, in prima battuta, sono state le seguenti:
– Chi gestisce e utilizza tale deposito, che non è certo temporaneo?
– Le Istituzioni preposte (Consorzio Industriale Provinciale Oristanese? Capitaneria di Porto? ASL? ARPAS? Comune di Oristano? Comune di Santa Giusta? Provincia di Oristano?) sono perfettamente a conoscenza di come viene gestito questo deposito di “rinfusa”?;
– È un deposito che deve essere coperto, per evitare che le polveri, soprattutto con il forte vento di libeccio, siano trasportate verso i centri abitati di Oristano e Santa Giusta, con tutte le conseguenze negative che ciò può comportare?
– il deposito è dotato di “sistema di raccolta delle acque di prima pioggia”, nel rispetto delle Norme in materia di prevenzione dell'inquinamento ambientale?
Mi sono fatto, da cittadino curioso, queste domande e vi racconto quanto ho scoperto, confessando che mi sono restati molti dubbi che, ritengo, debbano essere al più presto, chiariti.
La prima considerazione, spontanea, che rappresento è che non è stato facile riuscire a inquadrare la vicenda e trovare le risposte.
La prima cosa che mi è stata riferita è che l'odore che avevo sentito è quello tipico del carbone all'aria aperta e umido, che viene di solito usato nelle centrali termoelettriche a carbone.
Il gestore del “carbonile” sembrerebbe essere la UNICOAL SpA, che ha sede legale a Milano in Via Gioberti al civico numero 5 ed è un'Azienda leader nella commercializzazione di combustibili. Nel suo sito, alla voce “Logistica”, indica un proprio deposito di carbone nel sito del Consorzio Industriale Provinciale a Oristano.
Per quanto riguarda la destinazione di questo carbone, la risposta me la sono data partendo dalla conoscenza delle centrali termoelettriche a carbone che ci sono in Sardegna: una a Portovesme e una a Fiume Santo.
La “Centrale Sulcis”, compresa all’interno del Polo Industriale di Portovesme, sorge su una superficie di circa 63 ettari, a circa 2 km dal Comune di Portoscuso. Attualmente è strutturata in due Sezioni Termoelettriche a carbone, funzionanti a differente tecnologia: una Sezione a polverino di carbone e una Sezione a Letto Fluido Circolante. La prima Sezione è di potenza pari a 240 MW, mentre la seconda Sezione è di potenza pari a 350 MW. È di proprietà dell'Enel.
A Fiume Santo, dopo l’era di Endesa e E.On, il polo industriale è oggi di proprietà della Fiume Santo Spa, che fa capo a EP Produzione, una società controllata da EPH, gruppo energetico ceco integrato verticalmente e che opera nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, Germania, Regno Unito, Ungheria e Italia. Nel sito di EP Produzione si legge che La Centrale termoelettrica di Fiume Santo si estende su un'area di circa 152 ettari, con una potenza netta installata di circa 600 MW. Nella Centrale sono attualmente in funzione due gruppi di generazione a carbone, ognuno della potenza nominale di 320 MW. Le due unità alimentate a olio combustibile, entrate in esercizio negli anni 1983-84, di potenza nominale di 160 MW ciascuna, sono state definitivamente fermate il 31/12/2013 e sono attualmente in fase di dismissione.
Il carbone presente nel deposito del CIPOR (Consorzio Industriale Provinciale Oristanese) potrebbe, quindi, essere trasportato o a Fiume Santo o a Portovesme. Il carbone dovrebbe provenire dalla Polonia o dalla Repubblica Ceca.
Mi ha anche incuriosito sapere se all'inizio sia stato utilizzato da altri. Ho scoperto che inizialmente il carbone citato era stato utilizzato dalla CWF Italia di Clivati, lo stesso di Ottana Energia e delle vicende giudiziarie sulle pecore ricoperte di una sostanza nera (dovuta a emissioni di carbone?) e sui finanziamenti a valere sulla Legge 488 per la realizzazione di una serie di interventi in un lotto del CIPOR, a ridosso della cementeria, riguardante una centrale termoelettrica a carbone fluido, realizzato con il carbone che veniva stoccato nel stesso carbonile del sito in questione.
Rileggendo vecchi pezzi scritti dalla Nuova Sardegna, in particolare, uno dell'otto ottobre del 2011 scritto da Enrico Carta, ho scoperto che questa centrale termoelettrica, quasi del tutto in abbandono, se non per l'utilizzo di alcuni depositi per l'olio di palma trasferito alla centrale di Ottana a olio combustibile, è stata, di fatto, chiusa perchè gli interventi previsti con i fondi della 488 non sono stati realizzati. Precedentemente c'era stato un intervento della ARPAS, che aveva rilevato una situazione di inquinamento dovuto allo sversamento in mare di carbone fluido.
Non ho trovato niente che mi facesse pensare che le Istituzione che ho citato inizialmente siano perfettamente a conoscenza della situazione del carbonile.
Ho scoperto che il 14 settembre 2005 il Consigliere Regionale Attilio Dedoni aveva presentato in Consiglio Regionale l' Interrogazione n. 315/A, con richiesta di risposta scritta, sulla situazione economica ed occupazionale della CWF Italia di Santa Giusta, rappresentando, tra gli altri aspetti, che la CWF aveva con l'ENEL un contratto che prevedeva un incentivo economico per ogni megawatt prodotto da energia pulita ed alternativa, ma quest'opportunità non sarebbe mai stata sfruttata a pieno in quanto la produzione sarebbe stata limitata da problemi strutturali legati alla politica di risparmio improntata dal gruppo Clivati, proprietario dell'azienda e che l'impianto di smaltimento dei residui di lavorazione del carbone parrebbe essere stato smontato e le ceneri, mischiate a residui altamente cancerogeni di polveri di olio pesante, buttate di fronte alla capitaneria di porto. L'incentivo cui fa riferimento Attilio Dedoni è il CIP 6, che incentivava le fonti di energia “assimilate” a quelle rinnovabili. Non ho trovato notizie del seguito di questa Interrogazione.
Non sono in grado di dare altre risposte al momento attuale, soprattutto perchè ho rilevato che per molti parlo di “cose ignote e oscure”, ma girando per le vie di Oristano, ho notato varie volte che, per esempio, le soglie di molte vetrine sono ricoperte da una pattina nera che, a me sembra, sempre di più, di polverino di carbone. Nel dubbio, credo che le Istituzioni preposte dovrebbero, per salvaguardare la salute dei cittadini, indagare ed effettuare delle prove per verificare la natura di queste polveri, se il fenomeno è recente, costante e da attribuire al carbonile ubicato nel CIPOR, se l'attività di stoccaggio ha tutte le necessarie autorizzazioni, compresa l'AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) e se la gestione stessa è fatta nel rispetto di tutte le Norme. Se venissero confermati questi dubbi, a chi gestisce il carbonile dovrebbe essere intimato da chi di dovere di provvedere in tempi rapidissimi alla copertura del carbonile e all'attivazione di tutte le procedure per rendere a norma l'attività.
Nel concludere questo pezzo, ricordo che in tutta Italia sono presenti 12 Centrali termoelettriche (fonte Assocarboni) a carbone e, in tutte, è stata contestata dalle popolazioni locali, dalle Associazioni Ambientaliste e dai Rappresentanti degli Enti Locali, in particolare, la gestione all'aria aperta, senza alcuna copertura, dei carbonili. Dopo anni di proteste alcuni di questi sono stati coperti, come, per esempio, quello di Civitavecchia. Per intenderci, i carbonili sono la causa maggiore dell'inquinamento all'ILVA di Taranto e uno degli interventi principali previsti nell'Accordo siglato recentemente tra i Sindacati e ArcelorMittal sulle opere di disinquinamento ambientale è la copertura degli stessi.
In Italia (fonte Terna), nel 2014, il fabbisogno elettrico era soddisfatto, rispetto al totale, per il 13,5 % dal carbone, a fronte delle emissioni di ben 39 milioni di tonnellate di CO2, circa il 40 % di tutte le emissioni del sistema elettrico nazionale. Inoltre, 521 persone muoiono ogni anno per cause legate direttamente agli effetti dell’esposizione ai fumi della combustione di carbone (fonte Greenpeace).
Il precedente Governo Italiano ha di recente presentato la nuova Strategia Energetica Nazionale (SEN), in cui viene anticipata l’uscita dal carbone al 2025 per poi arrivare a un taglio definitivo delle emissioni di CO2 per il 2050.
Chiudo con un'ulteriore domanda. Ma la Sardegna ha davvero deciso di chiudere con il carbone entro il 2025? In un mio precedente pezzo “Le fonti di energia rinnovabile sono un'occasione di sviluppo?“ affrontavo le scelte della Regione Sardegna in merito all'utilizzo del carbone come fonte energetica. A me non sembra ancora chiaro se la Sardegna, a seguito dell'approvazione del Piano Energetico e Ambientale della Regione Sardegna (PEARS), che punta anche sull'energie rinnovabili, sulle Smart Grid, sull'efficienza energetica, sull'infrastrutturazione con colonnine di ricarica elettriche delle principali arterie dell'isola, ma anche sul gas e sul carbone, abbia abbandonato definitivamente quanto previsto, con un finanziamento di 68 milioni di euro, nel Protocollo d'Intesa per lo sviluppo di un polo Tecnologico di Ricerca sul Carbone Pulito e la costruzione di una centrale Clean Coal Tecnology e la cattura della CO2, scelte che,in tutte le realtà, si sono dimostrate fallimentari e contrarie a tutti gli “Accordi sul Clima”.
Giampiero Vargiu
Laureato in Ingegneria elettrotecnica all'Università di Cagliari nel 1980. Sindaco del Comune di Villagrande Strisaili dal 1995 al 2000. Socio della Societ di Ingegneria TEAM SISTEMI ENERGETICISRL, che ha sede operativa a Oristano e opera in tutta la Sardegna. Esperto in efficienza energetica e fonti di energia rinnovabili.
MaurizioFanni
Perito Industriale, ex Dirigente d'Azienda con esperienza, negli ultimi 18 anni dell'attività lavorativa, nel settore energetico in qualità di Direttore generale e Amministratore delegato. Precedenti esperienze, nella funzione di Quadro Dirigente in aziende di primaria importanza, a livello internazionale, del settore alimentare.