Intervento di Nando Cossu nell’Evento del 28 Aprile 2017
Dovendo parlare della cultura contadina, ritengo indispensabile far presente che in questo contesto io uso il temine cultura nel senso che ad esso viene dato nell’ambito degli studi etno-antropologici. In questo contesto, col termine cultura si intende designare tutto il complesso delle attività e dei prodotti intellettuali e manuali dell’uomo in società, quale che sia la distanza dalle concezioni e dai comportamenti che nella nostra società vengono riconosciuti come veri, giusti ecc..
in questo senso, pertanto, sono cultura anche certe pratiche e credenze che qualificheremmo come forme di ignoranza. Sono cultura nel senso che costituiscono anch’esse un modo di concepire il mondo e la vita, che può anche non piacerci, ma che esistono e che vanno studiate.
Sicuramente, fin da quando è comparso sulla terra, anche prima della condizione di homo sapiens, l’uomo è vissuto e sopravvissuto servendosi di tutto quanto l’ambiente circostante gli offriva. Questo, sia quando viveva nella condizione di nomade, e ancora di più quando si compì quella che fu la prima vera grande rivoluzione: la scoperta dell’agricoltura.
L’applicazione dell’intelligenza a quanto di valorizzabile ci fosse nell’ambiente circostanze, ha portato l’uomo alla costruzione di tutto un complesso di oggetti che sono andati migliorando progressivamente la sua condizione e che costituiscono quel patrimonio etnografico della cultura materiale, di cui ancora oggi restano usi e tracce evidenti nelle nostre comunità.
Sarebbe troppo lungo anche solo elencare tutto ciò che rientra nel concetto di cultura materiale, tuttavia non posso prescindere dal dare in questa sede almeno qualche riferimento concreto. Il primo evento che ritengo di dover proporre alla vostra attenzione è quel processo che va dalla coltura del grano alla scoperta del pane. Si tratta di un lento lungo percorso in cui l’uomo è andato via via migliorando, realizzando sempre nuove conquiste sia negli strumenti per il lavoro della terra, che nella lavorazione nel grano, fino alla creazione del pane. A sottolineare l’importanza di questo bene della cultura materiale basta e avanza il fatto che ancora oggi sono tante le comunità in cui più di una famiglia si dedica alla panificazione tradizionale, lasciando immaginare anche interessanti prospettive di mercato, se solo si sapesse prestare più attenzione all’evento.
Altro bene materiale, certamente di minore importanza, ma degno comunque di considerazione, è costituito da tutti quegli oggetti prodotti con materiali di cui il nostro territorio è ricco (canna, asfodelo, giunco, palma nana ecc..). si tratta di una grande varietà di oggetti adibiti a funzioni diverse, che abbiamo lasciato che venissero sommersi dalle cascate della plastica, senza aver mai fatto una riflessione seria su un loro eventuale inserimento nel mercato, visto che possediamo in grande abbondanza la materia prima e sono ancora attive le persone che conoscono le tecniche dell’intreccio.
Ritengo opportuno ricordare, nell’ambito della medicina popolare, l’operato di quei guaritori che curano con terapia empirica ustioni, piaghe da decubito e diverse malattie della pelle. Si tratta di interventi a base di oli, pomate, unguenti e altri preparati, di cui solo i guaritori conoscono la composizione. Personalmente ho avuto modo di seguire alcuni interventi terapeutici di qualche guaritore, constatando con stupore il conseguimento della guarigione al più alto livello possibile.
Infine, per chiudere con gli esempi, ritengo utile ricordare su ladrini, materiale primario di fondamentale importanza nella costruzione delle case, abbandonato per l’invasione dei blocchetti in cemento e oggi, forse, in fase di ripensamento da parte di alcuni addetti ai lavori.
Ecco, sono solo esempi, ma vi assicuro che la dimensione della cultura materiale è vasta, per non dire sterminata, se solo se ne volesse approfondire l’analisi. Tenete conto che si tratta di tutte le attività e dei prodotti intellettuali e manuali che l’uomo ha prodotto nel corso della sua lunga storia.
Altrettanto ricca, nell’ambito della cultura agropastorale, è la dimensione magica. Diciamo pure che la magia ha accompagnato e sostenuto l’uomo in tutto il suo percorso quanto meno dall’uomo di Nehanderthal (200 mila anni fa) e che per certi versi, lo accompagna e lo sostiene ancora. Però, prima di entrare nel merito di questo argomento, ritengo necessario fare chiarezza sul concetto di magia, cioè cosa si intende con la parola magia nell’ambito degli studi etno-antropologici.
Spesso si ha un’idea superficiale e negativa di questo fenomeno e ciò è dovuto principalmente a due motivi. Generalmente non si ha della magia una visione storica, nel senso che con la nostra riflessione non torniamo indietro nel tempo, fino ad immaginare quale sia stata la condizione dell’uomo dalla sua comparsa come homo sapiens(circa duecentomila anni fa), fino all’avvento del pensiero scientifico, per non dire fino a qualche decennio fa o addirittura fino ad oggi (e lo vedremo).
Una condizione tale per cui l’uomo viveva ogni giorno il dramma della sopravvivenza, tra avversità di vario genere e fenomeni naturali a volte favorevoli e a volte sfavorevoli, di cui cercava di darsi una spiegazione, ovviamente con gli strumenti conoscitivi di cui allora disponeva: la sua immaginazione e la sua creatività.
Immerso nel dramma quotidiano della sopravvivenza, l’uomo ha elaborato, giorno dopo giorno, la cultura magica, cioè la sua interpretazione di tutto quanto gli accadeva attorno, dall’evento più insignificante a quello più complesso, nel tentativo di dare a quegli eventi una identità onde poterci almeno dialogare, se non proprio dominarli.
Il secondo motivo è, a mio parere, un errore di metodo, conseguenza del primo motivo. Quando prendiamo in considerazione la magia, lo facciamo usando gli strumenti interpretativi propri della nostra cultura, che sono del tutto inadeguati per la comprensione della cultura magica.
Poiché ho detto che aspetti della cultura magica ancora oggi ci accompagnano e sostengono, voglio farvi conoscere i risultati di una ricerca che io ho condotto in tutti i comuni della Sardegna, tranne le città, sulla diffusione della medicina popolare, che ha tutt’oggi sia una dimensione empirica che magica. Io ho intervistato personalmente 568 guaritori, ma i guaritori segnalati dai miei informatori locali sono oltre 1000.
Di questi 568 guaritori ben 339 praticano la medicina dell’occhio e 321 sono donne. Per una conoscenza approfondita del fenomeno, ho cercato di conoscere anche il numero dei fruitori della medicina popolare e dai dati forniti dai guaritori, prendendo in considerazione il dato per difetto, ho calcolato ben 72.000 fruitori, ma sono convinto che coloro che fanno ricorso alla medicina popolare oggi sono almeno 100mila l’anno.
Dei 72.000 fruitori complessivi, ben 68.000 sono compresi in nove patologie fondamentali, ripartiti come segue: terapia del malocchio 36.568; traumi distorsivi 10.708; ustioni 3670; stati critici da spavento 3650; sciatica 2900; porri 2554; emorroidi 2383; reumatismi 2080; fuoco di sant’Antonio 1798; malattie della pelle 1485. Sempre all’interno di queste nove patologie coloro che hanno usufruito di una terapia magica sono 49.855 (pari al 73,5%); quelli sottoposti a terapia empirica 17.943 (pari al 26,5%).
Oltre al malocchio, le altre patologie curate con terapia magica sono: la sciatica (un guaritore che riceve pazienti da tutta la Sardegna); lo spavento (con i riti magico-terapeutici di s’affumentu e s’imbruscinadura); i porri (diversi interventi terapeutici); le emorroidi; il fuoco di sant’Antonio (la terapia con la pietra focaia).
In provincia di Oristano ho riscontrato sia la presenza di queste patologie che i rispettivi guaritori. Con ciò non voglio dire che siano situazioni specifiche esclusive dell’oristanese, perché le ho riscontrate anche altrove, ma soprattutto perché tutto il complesso della cultura popolare, sia nella dimensione empirica che in quella magica, ha una sua struttura che si ritrova pressochè simile in tutta Europa (e per certe situazioni anche oltre), ferma restando la presenza di varianti locali all’interno, però, della medesima struttura.
Nando Cossu
Laureato in Storia e Filosofia all’Università di Cagliari, ha conseguito il diploma di Specializzazione in Studi Sardi con una tesi sulla medicina popolare in Sardegna. La medicina popolare e la cultura materiale dell’isola hanno costituito l’ambito principale della sua ricerca. Insegnante e dirigente scolastico, ha curato per la comunità Arci-Grighine la sezione del Piano di sviluppo socio-economico dedicata alle tradizioni popolari e alla cultura popolare e si è dedicato all’allestimento e alla cura del Museo del giocattolo di Ales. Per quanto concerne la medicina popolare, oltre a vari articoli, ha pubblicato il volume “Medicina popolare in Sardegna. Dinamiche, operatori, pratiche empiriche e magiche”, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1996 (presentazione di Enrica Delitala) e “A luna calante. Vitalità e prospettive della medicina tradizionale in Sardegna “, Argo, Lecce, 2005 (presentazione di Giulio Angioni). L’ultima pubblicazione è stata “L’amore negli occhi. ” Rapporti fra i sessi e formazione della coppia nella società agropastorale sarda “, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2014