La proclamazione del Regno d’Italia, avvenuta nel 1861, portò a un’unità solo territoriale, cui non seguì però, negli abitanti, l’affermazione di un sentimento d'appartenenza allo Stato. Fatta l'Italia, era necessario fare gli italiani, ricordando una frase attribuita a Massimo d'Azeglio. Si doveva pertanto infondere in loro uno spirito civico e la consapevolezza di un’identità nazionale.
Il cammino di costruzione di uno Stato unitario fu irto di ostacoli. Tante furono le problematiche che ne rallentarono la piena attuazione in una mescolanza di lingue, dialetti, economie, culture e tradizioni differenti.
Ma la questione centrale che mi interessa rilevare ai fini del mio breve ragionamento, è quella inerente al fatto che l'Italia fu unificata da persone appartenenti al ceto medio, alle classi più agiate, composte perlopiù da intellettuali borghesi, lontani dalle esigenze dei deboli della società. In questi ultimi, non si radicò quindi il senso del concetto di “patria”, cui consegue quel coinvolgimento emotivo che si esprime in un forte sentimento di appartenenza a un unico insieme.
Dal momento dell'Unità in poi, gran parte del popolo subì pedissequamente il susseguirsi degli eventi, senza riuscire a comprenderli fino in fondo.
Subito dopo l'unificazione salì al potere la Destra storica la quale, incarnando la borghesia e l'aristocrazia settentrionale, si rivelò subito maldisposta verso ogni forma di iniziativa popolare che potesse in qualche modo destabilizzare la formazione di un potere oligarchico.
Fu creato uno Stato accentrato per consentire una migliore gestione della popolazione e si avversò la formazione di possibili forze disgregatrici, capaci di minare il potere della classe dirigente. Subito dopo l'Unità, quest’ultima si preoccupò quindi soprattutto di ottenere l’appoggio di gruppi forti, spesso scorretti ma provvisti di risorse per alimentare il sistema, non predisponendo una politica mirata invece all'acquisizione del consenso di massa. Era infatti più semplice ottenere vantaggi dall’appoggio dei forti, anche se sleali, che fare il necessario per consentire l'integrazione degli altri gruppi promuovendo, ad esempio, un piano per la riorganizzazione dell'istruzione o attuando altre politiche concrete, a beneficio di tutti gli italiani.
Al Sud, la presenza dello Stato fu fragile e corrompibile. Era stretto il legame tra organizzazioni criminali e governanti. La borghesia cercava abilmente di mediare tra il potere statale e la popolazione per potersi rafforzare e, per farlo, necessitava di un diritto approssimativo, corruttibile, che permettesse di strumentalizzare la classe politica meridionale attraverso il consolidamento di legami clientelari. Il risultato di questo fare, fu “uno stato sleale a se stesso“, così definito dalla sociologa Giovanna Zincone.
Il derivante sistema clientelare nutrì una borghesia parassitaria, irrobustì un’élite politica capace di autoalimentarsi e non in grado di trarre prestigio da ciò che poteva proporre e attuare, ma dal fatto stesso di essere “classe politica”. Una classe disposta a comprare e a farsi comprare, pur di non perdere i propri privilegi.
Un sistema che ispira ancora oggi un modello di relazione tra politici e cittadini basato sullo scambio di favori che danneggia l’intera collettività e che, dalla fine del 1800, pare inossidabile.
Elisa Dettori