di Giampiero Vargiu
L’articolo 11 della nostra Costituzione recita “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Dall’esame del testo di quest’articolo emergono due considerazioni opposte. La prima riguarda il ripudio della guerra. La seconda si basa sulla formula, in base alla quale, “… in condizioni di parità con gli altri Stati”, può …., consentire limitazioni alla propria sovranità in vista del fine superiore di garantire la pace e la giustizia tra le Nazioni, palesemente disattesa perché, in pratica non c’è stata negli anni né “autorizzazione” né “scelta”, ma stiamo sempre aderendo a guerre decise da altri. Sono evidenti le violazioni degli articoli 78 e 87 della Costituzione, i quali prevedono, rispettivamente, la delibera parlamentare e la dichiarazione formale, da parte del Presidente della Repubblica, dello “stato di guerra”.
Come scrisse nel 2009 su Limes Lucio Caracciolo “L’Italia è un paese sovrano che può decidere se combattere o meno una guerra, dopo averne discusso, come si conviene in democrazia. Ma quando mandiamo nostri soldati al fronte, spesso ci preoccupiamo più di come travestire la missione che di definirne scopi e strumenti. Così ci capita di attaccare un paese – la Jugoslavia – spacciando una campagna di bombardamenti aerei come “difesa integrata”, oppure di trovarci coinvolti nella guerra che gli Stati Uniti considerano decisiva senza trovare la forza di comunicarlo a noi stessi.”
Negli ultimi decenni si è parlato, non più di guerra, ma di “missioni di pace”, peraltro disposte, in definitiva, dagli Stati Uniti d’America.
Michel Rocard, nell’intervista a “France Culture” nel giugno 2013, non esitava a mettere in rilievo la sparizione nella nostra modernità del concetto di guerra in senso classico, progressivamente rimpiazzato da una violenza generalizzata, nella quale la delinquenza confina con il terrorismo.
Nella storia dell’umanità la guerra, in diverse forme, ne ha sempre accompagnato l’evoluzione.
Freud ne ha affrontato anche gli aspetti psicologici più profondi, che ne possono essere la causa.
Come scritto nel Saggio “Guerre senza limite” di Marie Hélène Brousse, tradotto da Paola Bolgiani, editto da Rosenberg & Sellier nella collana Biblioteca di Attualità Lacaniana, “Se l’ineluttabile di quella specifica guerra si comprende, La guerra, in maiuscolo, si presenta come un’anomalia, un errore nell’orientamento della civiltà, una colpa, uno scandalo, una mostruosità, qualche cosa che non doveva esserci, qualche cosa che avrebbe potuto non esserci. La permanenza della guerra nella storia mette in scacco la ragione, sfida la comprensione, interroga i limiti della civiltà, così come la sua natura, la sua genesi e la sua storia.”
Nella introduzione, Paola Bolgiani scrive che il Saggio “pubblicato nel 2015 in Francia, raccoglie i contributi di un gruppo di psicoanalisti che hanno lavorato sul tema della guerra e della relazione fra la psicoanalisi e la guerra.”
Nella stessa introduzione, Marie Hélène Brousse, scrive che, sul solco degli insegnamenti di Freud e Lacan, “l’interesse di questo libro è, comunque, quello di far apparire qualche tesi centrale:
- Non c’è guerra senza discorso, cosa che implica che la guerra non possa essere ridotta a delle manifestazioni naturali o allo scatenamento dell’aggressività. La guerra è una delle modalità del legame sociale e non il suo contrario;
- La guerra implica quello che noi chiamiamo “un modo di godere” e obbedisce a un imperativo che possiamo qualificare come superegoico, cosa che le dà il suo carattere oscuro e feroce;
- Il trauma è la modalità specifica che vi prende l’articolazione delle tre dimensioni psichiche messe in evidenza da Lacan, l’immaginario, il simbolico e il reale. Ma costituisce un traumatismo diverso per ciascun soggetto, in funzione del modo singolare secondo cui tale articolazione si ordina.”
Nel capitolo dal titolo “La pace è un delirio”, Francis Ratier scrive “alla domanda di Albert Einstein su come ottenere la pace, Freud risponde «Perché la guerra?» e coglie l’opportunità per precisare le sue idee sulla guerra e sull’aggressività. La maggior parte del testo è dedicata al posto che ha la guerra nella civiltà e all’esame dei meccanismi che la provocano. «Tutto ciò che favorisce l’incivilimento lavora anche contro la guerra»: il testo si conclude così, mettendo in gioco una serie di opposizioni di termini, due a due: la cultura e la guerra, la civiltà e la distruzione, la pulsione e il legame sociale. Secondo Freud, Ogni atto obbedisce a una duplice incitazione pulsionale e deve soddisfare allo stesso tempo due mozioni: una in direzione di Eros, l’altra orientata invece alla distruzione. L’azione, la vita stessa, procede da una mescolanza delle due pulsioni. Ogni azione umana trova motivo nella combinazione delle due pulsioni aggressiva e sessuale, di Eros e di Thanatos e la guerra non sfugge a questa composizione che la vita presuppone. Non si limita, infatti, a soddisfare la sola pulsione distruttrice e le sue motivazioni pulsionali sono certe, complesse, ma soprattutto inestricabili. Nell’ambito delle azioni umane, non più di ogni altra, la guerra, che Lacan qualifica come «commercio interumano», non può essere isolata e fare obiezione all’inestricabile intreccio delle pulsioni. «Pertanto, quando gli uomini vengono incitati alla guerra, è possibile che si desti in loro un’intera serie di motivi consenzienti, nobili e volgari», dal momento che all’intreccio delle pulsioni che sta alla radice di ogni azione, si aggiunge un intreccio di motivi e di scopi che si perseguono, secondo una logica combinatoria.”
Inoltre, “Al di là o a fianco della concretezza delle guerre che si svolgono o che hanno avuto luogo, la questione riguarda l’esistenza di una possibile teoria della guerra. Se «la pace, oggi come in passato, non si lascia definire facilmente», la guerra si coglie con una chiarezza poco maggiore, tanto cambiano le sue forme: totale o parziale, mondiale o localizzata, che oppone stati o gruppi diversi, che sia di alcuni contro altri, di tutti contro uno, tra fratelli, esplicita o endemica, di movimento o di posizione, di conquista o di liberazione, sporca o chirurgica, insensata o che si presenti come incarnazione della Ragione nella storia, le forme e le modalità della guerra cambiano, ma il reale che ciascuna riveste, permane. Senza dubbio si può cogliere al centro di tutte le guerre la nozione di «buco nero» che ingoia e sfida il senso.”
Nello stesso capitolo, scrive Ratier “la soluzione attraverso il diritto è quella che vede il consenso di Einstein, quella che instaura la Società delle Nazioni e, in un certo senso, quella di sempre, di un sempre che cercherebbe, con molta difficoltà, di instaurare un arbitrato alla soddisfazione della bramosia delle varie potenze.”
Gino Strada, il fondatore di Emergency, rilascia, in occasione del premio “Right Livelihood Award”, ricevuto al Parlamento svedese, un’intervista all’Avvenire l’1dicembre 2015, nella quale dice “Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili. A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo. Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette ‘mine giocattolo’, piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi. Bambini senza braccia e ciechi. Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l’aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita.” Inoltre “La guerra è un atto di terrorismo e il terrorismo è un atto di guerra: il denominatore è comune, l’uso della violenza. Sessanta anni dopo, ci troviamo ancora davanti al dilemma posto nel 1955 dai più importanti scienziati del mondo nel cosiddetto Manifesto di Russel-Einstein: «Metteremo fine al genere umano o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?”
In occasione del citato premio, come riportato in un discorso presente nel sito di Emergency, Gino Strada scrive “nel secolo scorso, la percentuale di civili morti aveva fatto registrare un forte incremento passando dal 15% circa nella prima guerra mondiale a oltre il 60% nella seconda. E nei 160 e più “conflitti rilevanti” che il pianeta ha vissuto dopo la fine della seconda guerra mondiale, con un costo di oltre 25 milioni di vite umane, la percentuale di vittime civili si aggirava costantemente intorno al 90% del totale, livello del tutto simile a quello riscontrato nel conflitto afgano. Il legame indissolubile tra diritti umani e pace e il rapporto di reciproca esclusione tra guerra e diritti erano stati inoltre sottolineati nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta nel 1948. “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e il “riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. 70 anni dopo, quella Dichiarazione appare provocatoria, offensiva e chiaramente falsa. A oggi, non uno degli stati firmatari ha applicato completamente i diritti universali che si è impegnato a rispettare: il diritto a una vita dignitosa, a un lavoro e a una casa, all’istruzione e alla sanità. In una parola, il diritto alla giustizia sociale. All’inizio del nuovo millennio non vi sono diritti per tutti, ma privilegi per pochi. Vorrei sottolineare ancora una volta che, nella maggior parte dei Paesi sconvolti dalla violenza, coloro che pagano il prezzo più alto sono uomini e donne come noi, nove volte su dieci. Non dobbiamo mai dimenticarlo. La maggiore sfida dei prossimi decenni consisterà nell’immaginare, progettare e implementare le condizioni che permettano di ridurre il ricorso alla forza e alla violenza di massa fino alla completa disapplicazione di questi metodi. La guerra, come le malattie letali, deve essere prevenuta e curata. La violenza non è la medicina giusta: non cura la malattia, uccide il paziente.”
Il missionario comboniano Alex Zanotelli in una intervista di Leonardo Roselli, apparsa su Testimonianze, la rivista fondata da Ernesto Balducci, in occasione di un Forum tenutosi a Firenze dal titolo “La guerra come tabu’ per una prospettiva di pace”, dice “La violenza ci è scappata di mano, o la rendiamo un tabù o non esisterà più nessuna umanità. L’unica via possibile è l’esercizio della non violenza attiva.Come credente credo che ci si debba soltanto vergognare del fatto che sia stato Gandhi a scoprire per primo i Vangeli ed averci insegnato la non violenza attiva. E che oggi il Magistero della Chiesa, riesce ancora a dire che è Gesù che ha inventato la non violenza attiva. Con questo termine io intendo essenzialmente quel salto antropologico di cui anche Ernesto Balducci parlava, identificandolo con l’Uomo Planetario. Come in un certo momento della storia è nato l’Homo Sapiens, oggi deve nascere questo uomo nuovo se la razza umana vuol sopravvivere. È il tentativo di vedere l’uomo al di fuori di una logica imperiale, una logica in cui ogni uomo è un volto unico ed irripetibile. Una logica per cui nessun uomo può essere usato per una qualsiasi causa. Tutto questo può avvenire solo se scatta quella volontà di dire no alla violenza radicale, ma un sì al volto dell’altro, inteso come fratello e come comunità. È questo salto in umanità che deve avvenire, che Martin Luther King chiamava la forza dell’amore. Oggi ci troviamo dinanzi ad un bivio storico, oggi è la fine. O l’uomo fa questo salto o non ci sarà più nessuna umanità. Ecco la gravità di questo momento. Non possiamo più illuderci di continuare ad ignorare questo richiamo fondamentale. Se lo rifiutiamo sarà la fine del pianeta, sarà la fine dell’umanità.”
Oggi assistiamo, increduli, impotenti e inorriditi, al riutilizzo della parola guerra per definire quella scatenata da Putin alla Ucraina, che è uno Stato sovrano, nato nel 1991 e riconosciuto a livello internazionale tra il 1991 e il 1992. Una guerra in Europa di uno Stato contro un altro Stato, dopo le guerre nella ex Jugoslavia dal 1991 al 2001 e dopo settant’anni di pace. Nessuno sembra in grado di fermare questa follia, anche se in molte piazze del mondo, compresa la stessa Russia, aumentano, a tre giorni dall’inizio della guerra, le manifestazioni che chiedono la fine dell’invasione dell’Ucraina.
Siamo destinati in eterno a farci la guerra?
Rispondo con un no secco.
È un’utopia pensare che sia possibile abolire le guerre, le armi e tutte le forme di violenza?
È un sogno che può diventare realtà. Anche l’abolizione della schiavitù sembrava impossibile, eppure oggi la schiavitù è diventata un tabù.
Nelle Costituzioni delle Democrazie deve essere sancito in maniera chiara e senza contorsioni di parole, che sono abolite le guerre, le armi e tutte le forme di violenza.
Sarà un processo lungo e difficile, ma può essere iniziato con più decisione di quanto fatto fino ad oggi e, soprattutto, sarà possibile se lo si spinge dal basso da parte delle cittadine e dei cittadini in tutto il mondo. Un tassello importante potrà essere messo in tale direzione con l’accelerazione del processo di transizione energetica dal modello “fossile” piramidale, verticista, non democratico e causa di tensioni continue a livello globale, a quello distribuito, democratico e cooperativo delle fonti di energia rinnovabile, che sono presenti in tutto il mondo e, in certi casi, nelle aree più povere.
Parallelamente alla transizione ecologica può trovare spazio la transizione verso la pace, con la eliminazione di tutte le armi e l’abolizione di ogni forma di violenza, che deve diventare un tabù. Sono convinto che sia possibile una civiltà di pace, nella quale la ragione prevale sulle pulsioni.