In questo Post cercherò di focalizzare alcune azioni, fra tante, su cui sarebbe utile che l’Italia ricercasse alleanze in Europa per modificane le scelte.
Sono peraltro consapevole del rischio che si tratti di un puro esercizio intellettuale di confronto con chi avrà la bontà di leggere, perché la possibilità che hanno di essere adottate, nel contesto politico attuale, mi sembra assai difficile. Sarebbe tuttavia già un grande risultato trovare lettori – pochi o tanti che siano – che le assumano come temi di riflessione, anche se non condivisi.
Una premessa, per me d’obbligo, fa riferimento all’Europa:
° l’Europa è il nostro presente ed il nostro futuro. Per quanto si tratti di una unione parziale e talora contraddittoria, con obiettivo finale difficile ma auspicabile, gli Stati Uniti d’Europa, ha dalla sua tre principali ragioni:
- Ha assicurato, sia pure con tutta la difficoltà di rapporti, 70 anni di pace. Un risultato troppo spesso sottovalutato da tanti, ma di fondamentale importanza;
- Costituisce uno dei più vasti mercati mondiali;
- Ha costituito e continua a costituire una protezione alle perturbazioni economiche e finanziarie che sono state e sono “potenzialmente” possibili, ammortizzandone gli effetti.
La collocazione dell’Italia in Europa va considerata – e tale io la considero, anche per le ragioni citate – irreversibile. L’Italia fuori dall’Europa, nell’attuale realtà del contesto mondiale, sarebbe come una ballerina su un “carillon”, che movimenti finanziari e speculazione potrebbero far girare a piacimento: per l’irrilevanza delle difese necessarie che saremmo in grado di contrapporre, con esiti disastrosi.
Due,tre azioni a livello europeo –
Tra tante, parto da due, tre azioni su cui sarebbe utile la ricerca di alleanze; trattandosi, da un lato, di temi su cui in Europa è aperta la discussione e, dall’altro lato, per l’impatto vantaggioso che potrebbe scaturirne per le politiche socio-economiche italiane.
I migranti – Assumere una posizione ferma sul problema “migranti” è del tutto condivisibile sotto il profilo politico del riconoscimento europeo che i confini italiani sono, rispetto a questa problematica, i “confini sud” dell’Europa. Conseguentemente devono essere riconosciute ed adottate linee di azione europee in grado di far superare la solitudine sostanziale in cui è stata lasciata l’Italia. Ma».
Questo “Ma” è grande, veramente molto grande. Per un Ministro della Repubblica Italiana il “modo” non è “forma” ma è “sostanza”. Le radici della nostra civiltà e la saggezza antica ci ricordano che: Est modus in rebus, sunt certi denique fines, quos ultra citraque nequit consistere rectum ( Orazio: c’è una misura nelle cose, vi sono precisi limiti al di là e al di qua dei quali non può esserci il giusto ).
La carica di Ministro non consente lo svolgimento della funzione in modalità caricaturale da “Rodomonte”, con linguaggio e atteggiamenti verso l’esterno e verso l’interno – cioè verso i cittadini, tutti, anche quelli che non hanno votato quella parte politica – inaccettabili. Le parole di un Ministro non sono “pietre” sono “macigni”, che non possono essere sottovalutate né trovare supposte giustificazioni in aspetti caratteriali. Il ruolo non lo consente e la storia è ancora dietro l’angolo.
In quella storia l’Italia ha svolto, al pari della Germania, un ruolo orribile: iniziato con stereotipi negativi, i pregiudizi, che producono esclusione simbolica, poi esclusione sociale, poi misure discriminatorie. La strumentazione di queste azioni – è stato scritto – è esattamente la ricognizione censuaria, la “lista”, perché sulla distinzione tra popolazione legittima e gli “altri” si basa l’intento di salvaguardia del “noi”, della purificazione.
Abbiamo la memoria così corta da essercene già dimenticati?!
Spese per investimenti in infrastrutture – Gli investimenti pubblici in infrastrutture servono a porre le basi di crescita futura, mentre già producono effetti connessi alla spesa in corso di realizzazione. È una modalità di capitalizzazione per le generazioni future.
L’Europa vi riconnette un grande valore essendo di aiuto nell’attenuazione dei divari sia territoriali sia tra Stati e, quindi, tonificano il “sistema Europa” nel suo complesso: assegnando a questa destinazione una buona parte del proprio bilancio. Sarò un ingenuo razionale, ma trovo contraddittorio che le spese pubbliche sostenute per investimenti in infrastrutture rientrino come componente del “debito” nel rapporto Debito/Pil. Ricercare alleanze per una revisione dei criteri mi sembra saggio, su un tema comunque aperto alla discussione, con l’obiettivo di:
° togliere dalla componente “debito” le spese per infrastrutture o, in subordine
° scomputarne almeno una parte o, in subordine
° scomputare almeno la quota del “cofinanziamento” nazionale nell’assegnazione dei fondi europei destinati alle infrastrutture.
Costituirebbe un inizio in grado di produrre un qualche margine di manovra suppletivo per la politica economica.
PIL “potenziale” e PIL “reale” – un altro dei temi su cui in Europa c’è discussione e su cui pertanto sarebbe saggio ricercare alleanze non riguardando modifiche sostanziali, ma discutibili criteri di calcolo adottati, è quello dell’ output gap: che misura la distanza tra PIL potenziale – calcolato in funzione dei fattori produttivi ( capitale e lavoro ) e tecnologia – e PIL reale. L’ output gap misura quanto l’economia di un Paese è, in un momento dato, distante dal suo “potenziale”. Ciò che consente di ottenere deroghe di flessibilità e più tempo, in una fase di ripresa economica, per raggiungere gli obiettivi.
Il PIL potenziale non è misurabile ma solo stimabile e già i Governi Renzi e Gentiloni, attraverso il Ministro dell’economia, hanno contestato come discutibile la modalità di stima, nell’ambito del fattore lavoro, del tasso di disoccupazione strutturale ( che cioè non genera spinte inflazionistiche ) che, se calcolato con criteri altrettanto legittimi di quelli adottati, mostrerebbe che l’Italia è in pareggio di bilancio strutturale già dal 2015.
Anche questo mi sembra un tema in discussione su cui insistere legittimamente.
Gianni Pernarella
Laurea in Giurisprudenza conseguita a Pisa e studi post laurea in Economia. Dipendente del Banco di sardegna dal 1973 al 2003. Dopo esperienza pluriennale di filiale, assume nel 1990 ruoli di responsabilità nella struttura centrale “Organizzazione e Sistemi Informativi” dove, in veste di funzionario capo progetto, ha gestito oltre 10 progetti organizzativi e relativi a sistemi informativi. Collaboratore per oltre 6 anni del SIL – PTO di Oristano; ha scritto quattro libri sulla materia del credito e dell'economia provinciale oristanese relativa all'artigianato.