Tra i tanti aspetti problematici in cui si dibatte attualmente la società italiana, mi sembra ve ne siano due, costituenti facce della stessa medaglia, particolarmente acuti e sui quali dovrebbe concentrarsi anche la priorità dell’azione politica:
a – l’incapienza reddituale di una parte del corpo sociale che – evitando forme di “assistenzialismo” fine a se stesso – deve trovare nell’attuale REI una risposta compatibile più sostenuta dell’attuale, attraverso un rafforzamento più incisivo di sostegno al reddito e all’inclusione sociale, nell’ambito di “vere” ed “effettive” politiche attive del lavoro (1);
b – la possibilità di migliorare le condizioni economiche del lavoro, considerato che sempre più spesso lavoratori occupati in condizioni economiche “borderline”, cioè precarie, finiscono per alimentare l’area degli incapienti in una direzione progressivamente crescente della platea, con il rischio di scivolamento verso la povertà assoluta.
Mi muovo cioè nell’alveo di coesistenza tra sviluppo ed equità sociale in chiave solidaristica: diminuire le diseguaglianze per dare una risposta positiva ai bisogni di chi lavora, lo cerca o lo cercherà.
Senza la pretesa di avere soluzione che, forse, non esistono come risposte definitive, vorrei introdurre elementi di riflessione su possibili percorsi.
In merito alla problematica delineata sub “a“ l’Associazione ha organizzato un evento il 7/12/2017 con interventi e Post rintracciabili sul sito. Attraverso di essi sono stati delineati, da un lato, il profilo originario ( neoliberista) del “reddito di cittadinanza” e, dall’altro lato, il profilo invece degli strumenti di sostegno al reddito e di inclusione sociale ( reddito minimo garantito ): quali il REI e il REIS regionale, di cui in precedenza si è sottolineata la necessità di maggiore incisività, anche finanziaria, nell’ambito di effettive politiche attive del lavoro. In quest’alveo, a prescindere dall’ampiezza della platea e del “quantum” ( che ne rende assai problematica la copertura finanziaria e, quindi, assai difficile a mio avviso l’applicabilità “ex nunc” ), si muove anche il disegno di legge n.1148 del M5stelle.
Il tema è stato affrontato dall’Associazione senza pretese di esaurire l’argomento: manca infatti l’utile esplorazione delle esperienze fatte in altri Paesi con riferimento alla strumentazione di sostegno al reddito ed ai profili pubblici nell’organizzazione delle politiche attive; su cui ritengo che l’Associazione approfondirà in prosieguo l’analisi.
In questo Post vorrei invece soffermarmi su alcuni profili del secondo punto:
b – Il miglioramento delle condizioni economiche del lavoro
Nel’attuale contesto italiano mi sembra di poter individuare come area prioritaria di intervento quella correlata al “Cuneo fiscale sul lavoro”, quale modalità atta – a certe condizioni, che analizzerò in modo propositivo successivamente – a favorire l’innesco di un ciclo economico socialmente diverso. È questa a mio avviso una delle priorità su cui approfondire la riflessione per individuare modalità utili ad affrontarla in modo sostanziale, costituendo uno degli obiettivi di rilievo di politica economica.
Il contesto: Cuneo fiscale sul lavoro – questo può essere individuato, per approssimazione, come la somma delle imposte dirette, indirette e sottoforma di contributi previdenziali, assistenziali ed assicurativi che pesano sul lavoro per quanto riguarda i Datori di lavoro e, per i Dipendenti( e liberi professionisti), la somma dei contributi previdenziali e delle imposte Irpef + Addizionali comunali e regionali Irpef.
In buona sostanza possiamo considerare il cuneo fiscale sul lavoro come: la differenza tra quanto un dipendente costa all’azienda e quanto lo stesso dipendente riceve “netto” in busta paga.
Secondo l’OCSE (2012) l’Italia si trova al 6° posto nella classifica dei paese europei per il maggior costo del lavoro. Questo maggior costo è legato principalmente al cuneo fiscale sul lavoro. Questa differenza è in Italia assai elevata (ISTAT 2010): fatto 100 il costo del lavoro tipo, il cuneo fiscale sul lavoro è in media del 46,2% ( con il 20,6% a carico del lavoratore ed il 25,6% a carico del datore di lavoro ).
In realtà tra il 1999 e il 2008 ci sono stati vari interventi sia a favore dei datori di lavoro con abbattimento degli oneri ( – 0,9% sull’IRAP – Imposta Regionale Attività Produttiva e l’1,4% sui contributi sociali ) sia a favore dei lavoratori con sgravi Irpef per quelli con carichi familiari.
Da ultimo il Governo Renzi ha eliminato dall’IRAP, la cui base imponibile è la somma delle remunerazioni dei fattori produttivi ( valore aggiunto ),la componente costo del lavoro; cui va aggiunto il bonus degli 80 euro.
I risultati dei complessivi interventi sono valutati comunque ambivalenti quanto a risultati, tenuto conto che gli effetti connessi ad una riduzione del cuneo vengono valutati diversi se attuata con una diminuzione delle imposte oppure dei contributi sociali. Questa ambivalenza nei risultati ha visto, ad esempio, un riassorbimento dell’alleggerimento degli sgravi Irpef sui lavoratori con carichi familiari ( e il bonus di 80 euro ) correlato all’aumento nel tempo delle Addizionali comunali regionali Irpef che di fatto, unitamente al drenaggio fiscale, ne ha annullato nel tempo i benefici. Tutto si lega circolarmente.
Vi è comunque concordanza, tra gli addetti, che la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro sia una dei modi più veloci per riacquistare competitività e beneficiare della crescita della domanda estera e, attraverso maggiori disponibilità nette in busta paga, aumentare il potere d’acquisto delle famiglie; cosa che, nel medio periodo – ipotizzando che nel breve vi sia una priorità alla ricostituzione dei risparmi – dovrebbe portare anche ad aumento della domanda interna.
La riduzione rende altresì meno onerose le assunzioni per le aziende, influendo sull’aumento di occasioni ed opportunità per chi sta cercando lavoro.
L’ambivalenza nei risultati sin qui riscontrati è probabilmente legata:
1 – ad una defiscalizzazione indifferenziata a favore di tutte le imprese e, in alcuni periodi, a favore di tutti i lavoratori;
2 – alla erraticità degli interventi, con conseguenza incertezza sul dopo;
3 – ad un intervento finanziario complessivamente troppo debole;
4 – ad uno scollamento tra interventi e la riconduzione in un quadro coerente dell’atteggiamento di tutte le parti in causa.
Ne consegue, a mio avviso ( ma non in solitudine ), che corollario conseguente sia un approccio che in via prioritaria, cioè in una prima fase:
° limiti lo sconto fiscale ad imprese e lavoratori “nuovi assunti” a tempo indeterminato;
° limiti la defiscalizzazione alle imprese che “aumentano” l’occupazione, al fine di evitare licenziamenti di comodo e riassunzioni;
° realizzi una distribuzione percentuale del beneficio fiscale maggiormente volto a favore dei lavoratori, al fine di consentire un parziale recupero del potere d’acquisto;
° ipotizzi un intervento finanziario governativo assai significativo, tale da generare un iniziale shock benefico.
Conclusioni e proposte
Credo che sulla base delle informazioni e dei confronti internazionali, di cui si è dato conto, non sia azzardato considerare la problematica del “cuneo fiscale sul lavoro” in Italia una Questione Sociale.
Credo altresì che proprio per questa ragione un approccio efficace, in una prospettiva di politica economica che per sua natura produce effetti circolari, debba trovare collocazione ( e risposta ) nell’ambito di un Patto Sociale, al quale il Governo dovrebbe chiamare tutte le parti in causa:
Governo – Associazioni sindacali dei lavoratori – Associazioni sindacali delle imprese – Comuni e Regioni.
Lasciando alla valutazione ed al confronto di tutte le parti in causa la direzione del taglio e quindi dell’impianto di defiscalizzazione, intendo invece delineare di seguito quale dovrebbe essere la cornice generale, nel cui ambito i partecipanti dovrebbero essere chiamati ad assumere impegni condivisi al fine di realizzare lo scopo fondamentale alla base del Patto Sociale: un coerente allineamento progressivo del costo del lavoro e del cuneo fiscale sul lavoro.
E veniamo al quadro dentro la cornice:
Governo – oltre che promuovere e coordinare il Patto dovrebbe assumere tre impegni
1 – profilare un intervento finanziario iniziale in grado di generare uno shock d’attacco al problema del “cuneo” ( credo tra i 7-10 miliardi ) ;
2 – impegnarsi a recuperare annualmente, nel corso della legislatura, ulteriori risorse, ancorché di importo più limitato, in base ad un programma concordato, destinandovi in via prioritaria una parte delle risorse recuperate dall’evasione fiscale e contributiva;
3 – stabilizzare la defiscalizzazione che, quindi, non costituisce un intervento destinato a morire prima del tempo per eutanasia;
Associazioni Sindacali dei lavoratori e delle imprese –
1 – concordare l’impegno alla ripartizione del Pil, nel corso di validità del Patto di legislatura, tra salari e profitti. Ciò considerato che negli ultimi vent’anni il salario ha perso oltre 10 punti nella ripartizione del PIL tra salari e profitti;
Associazioni Sindacali dei lavoratori –
1 – impegnarsi, nel periodo di validità del Patto, ad una moderazione salariale nel rinnovo dei contratti che tenga conto dell’aumento salariale riveniente sia dalla ripartizione del PIL sia dalla defiscalizzazione del cuneo;
Comuni e Regioni –
1 – impegno a tenere stabili, nel periodo di validità del Patto, le addizionali Irpef, che rischierebbero di annullare – come è già avvenuto – i benefici salariali correlati sia alla ripartizione del PIL sia alla defiscalizzazione del cuneo;
2 – concordare con il Governo forme di compensazione connesse al blocco, al fine di evitare un impatto negativo sui servizi forniti a livello comunale e regionale.
Questa è la mia ipotesi, basata sulla circostanza che se il problema analizzato costituisce una “Questione sociale” l’avvio della soluzione, considerate le tante componenti che entrano in gioco, non può passare, a mio avviso, che da un “Patto sociale”.
Ovviamente una soluzione siffatta presuppone una volontà condivisa e protesa a considerare le diseguaglianze, il lavoro ed il disagio sociale un punto dirimente nell’ambito dei problemi italiani.
Onestamente dubito, dopo aver letto di flat tax, abolizione della tassa di successione e reddito di cittadinanza quasi universale, che il tema possa essere nell’orizzonte temporale prossimo.
- In questa declinazione le ” politiche attive ” del lavoro presuppongono non solo un atteggiamento attivo di chi è destinatario del sostegno, ma un’organizzazione delle strutture pubbliche del lavoro che vedano posti in carico ad ogni Tutor ( operatore ) un portafoglio clienti verso i quali – attraverso reti di relazioni con imprese, frutto di accordi tra Governo e Associazioni imprenditoriali – svolgano un ruolo attivo che, in base ai profili degli assistiti, faciliti l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Gianni Pernarella
Laurea in Giurisprudenza conseguita a Pisa e studi post laurea in Economia. Dipendente del Banco di sardegna dal 1973 al 2003. Dopo esperienza pluriennale di filiale, assume nel 1990 ruoli di responsabilità nella struttura centrale “Organizzazione e Sistemi Informativi” dove, in veste di funzionario capo progetto, ha gestito oltre 10 progetti organizzativi e relativi a sistemi informativi. Collaboratore per oltre 6 anni del SIL – PTO di Oristano; ha scritto quattro libri sulla materia del credito e dell'economia provinciale oristanese relativa all'artigianato.