Partiamo da una constatazione abbastanza evidente. Negli ultimi anni stiamo assistendo a una progressiva escalation di violenza, espressa in ogni sua forma, che incide pesantemente sulla stabilità emotiva delle vittime e, nei casi più drammatici, sulla loro integrità fisica.

Una violenza sempre esistita, purtroppo, oggi amplificata dai social che fungono da enorme cassa di risonanza per comportamenti scorretti e aggressivi e lasciano fin troppo spazio a un linguaggio volgare e inadeguato.

È ben visibile intorno a noi una costante mancanza di rispetto per tutto ciò che è bene comune, in preda ad atti vandalici spesso dettati dalla sola noia o per le istituzioni, travolte da un’ondata di antipolitica dagli effetti devastanti. Ancor peggio, si rispettano sempre meno le persone.

Siamo arrivati a un punto di esasperazione tale che le stesse istituzioni, sia europee che italiane, hanno compreso di non poter indugiare oltre e di dover creare degli spazi di confronto per stabilire come fronteggiare l’insorgere di una serie di problematiche che, nel loro complesso, denotano una manifesta incapacità di molti di vivere serenamente con gli altri, in modo corretto e costruttivo, come conseguenza di una carenza di quelle che vengono definite “competenze sociali e civiche”.

Sulla questione, il problema principale da risolvere è cercare di capire come permettere ai giovani di acquisire tali competenze. Perché se è vero che da un lato noi adulti ci abbandoniamo spesso a frasi che, in modo polemico, sottolineano il loro lassismo nei confronti della realtà che li circonda, è vero anche che, per prima, mi chiedo quanti di noi si prodighino davvero per trasmettergli gli strumenti adeguati per leggerla al meglio e per partecipare in maniera più consapevole ed efficace alla vita civile e sociale del Paese.

Mi interrogo sull’inadeguatezza di una scuola eccessivamente statica, troppo ancorata ai libri di testo, rigidi binari formativi da seguire che lasciano poco spazio al confronto, al dibattito e alla crescita personale, elementi imprescindibili per lo sviluppo di un pensiero autonomo e la piena consapevolezza di sé.

Mi chiedo quanto la nostra scuola sia capace di adattarsi ai cambiamenti sociali, rispondendo correttamente alle nuove esigenze formative, predisponendo a una certa flessibilità mentale e consentendo di acquisire la capacità di sviluppare il senso critico e, in generale, di assumere comportamenti corretti, improntati su valori solidi e su principi democratici.

Se da un lato non possono certo essere sostituite le nozioni di base delle materie ritenute fondamentali, è altrettanto vero che è impensabile concepire una scuola che oggi non affronti in modo serio i temi più attuali che investono la nostra società come, per citarne solo alcuni, quelli relativi al mondo dei social network, alla comunicazione e alle sue grandi trasformazioni, all’ambiente, senza lasciare che siano affrontati solo grazie alla buona volontà di qualche insegnante zelante.

In questo quadro, dopo una serie di tentativi fallimentari, intrapresi nel 1958 con l’allora ministro dell’Istruzione Aldo Moro, lo scorso agosto il Parlamento italiano ha approvato una legge che reintroduce lo studio obbligatorio dell’Educazione Civica in ogni scuola di ordine e grado, dal prossimo settembre. Sono previste 33 ore dedicate alla materia e un voto finale. Gli argomenti affrontati saranno diversi:

– Costituzione

– Istituzioni italiane

– Storia dell’inno e della bandiera italiana

– Unione Europea

– Organismi internazionali

– Elementi di diritto (con particolare riferimento al diritto del lavoro)

– Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile

– Educazione alla cittadinanza digitale

– Educazione alla legalità e al contrasto alle mafie

– Educazione al rispetto del patrimonio culturale e dei beni pubblici

– Educazione stradale

– Educazione alla salute e al benessere

– Volontariato e cittadinaza attiva

Troppi elementi se consideriamo che si parla di una sola ora a settimana, che sarà del tutto insufficiente per essere realmente efficace. Peraltro l’insegnamento sarà affidato ai docenti in organico di area storico-geografica nelle scuole primarie e secondarie di primo grado mentre, nelle scuole secondarie di secondo grado, sarà affidato ai docenti abilitati all’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche (da individuare, ove disponibili, sempre nell’ambito dell’organico stesso).

È chiaro a tutti che, con questi presupposti, ossia mole di programma e inserimento in altre materie, molti professori saranno costretti a sacrificare il tempo da dedicare ai propri insegnamenti, per fare spazio all’Educazione Civica. Questo lascerà di nuovo al caso il suo studio, temo. Una materia delicata, deputata a fornire ai giovani una corretta educazione alla cittadinanza, non può essere trattata in questo modo.

Educare alla cittadinanza significa aiutare i giovani a costruire il senso della legalità, quello della responsabilità di dover agire nella vita in modo corretto e onesto, consentendo loro di sviluppare la capacità di un pensiero autonomo, affinché imparino ad avere una maggiore consapevolezza di loro stessi e a muoversi nel mondo in modo sicuro, nel rispetto di sé e degli altri.

Invece, ancora una volta, ci ritroveremo a invocare invano una società più giusta, senza comprendere fino in fondo quanto sia necessario costruirla giorno dopo giorno, partendo proprio da una scuola moderna e aperta che inviti i ragazzi a diventare cittadini che, inseriti in una rete di diritti e doveri, collaborino tra loro per una convivenza tranquilla e democratica.

 

Elisa Dettori