La Svimez, (Associazione per lo Sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), ha pubblicato le prime anticipazioni del suo rapporto annuale 2018 dedicato al Sud.
Pur essendo prime valutazioni, sono pienamente attendibili perché nessuno ne ha messo in discussione la validità delle analisi e delle proposte.
Tassi di crescita del Pil
Secondo la Svimez, nel corso del 2017, il Mezzogiorno ha proseguito la sua lenta ripresa, per lo più frutto di investimenti privati.
Il Sud, tra il 2015 e il 2017, ha fatto passi avanti, recuperando parzialmente il patrimonio economico e sociale andato disperso a partire dalla crisi economica del 2008. Ancora oggi il Pil del Mezzogiorno è il 10% in meno rispetto a quello del 2008.
Certo il Mezzogiorno non è tutto uguale; ci sono regioni che hanno fatto meglio, come la Campania (1,8%),la Calabria (2%) e la Sardegna (1,9), ma ce ne sono altre, come la Sicilia (0,4%), che sta andando particolarmente male.
Tutto ciò avviene in un contesto di «grande incertezza» e, in assenza di «politiche adeguate», rischia di frenare ancora, con un «sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo» nel giro di due anni.
Nel 2019, secondo la Svimez, «si rischia un forte rallentamento dell'economia meridionale», con la a crescita del Pil che «sarà pari a +1 ,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud».
Investimenti
Gli investimenti privati sono ripresi nel 2017 (+3,9%) superando quelli del Centro Nord, anche se di pochissimo.
I settori nei quali si è investito di più nel Mezzogiorno sono l’agricolture, l’industria e le costruzioni, mentre si è investito di meno nei servizi.
Poiché la relativa ripresa è iniziata solo dal 2015 viene naturale domandarsi il perché di questo fenomeno. A mio parere le ragioni sono essenzialmente dovute alla spendita delle risorse europee della poltica di coesione e al Fondo nazionale di sviluppo e coesione.
Senza queste risorse aggiuntive il Mezzogiorno e la Sardegna avrebbero una quantità di risorse per gli investimenti assolutamente insufficienti, anche perché il Mezzogiorno riceve meno soldi di quanto dovuto per gli investimenti ordinari nazionali.
Secondo la Svimez, la spesa pubblica s'è dimenticata del Mezzogiorno; “tra il 2008 e il 2017 è scesa del 7,1% al Sud, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese)”.
Da questo punto di vista, attuare un vero riequilibrio territoriale degli investimenti pubblici ordinari risulta cruciale.
È sopratutto necessaria l’attuazione della cd. “clausola del 34%” per la spesa ordinaria in conto capitale (ancora inattuata) e, ancor di più, di estenderla al Settore Pubblico Allargato delle grandi aziende partecipate.
Secondo la Svimez se al Sud si ritornasse al livello degli investimenti del 2010 (+4,5 miliardi) la crescita sarebbe pari a quella del Centro Nord.
Flussi migratori dal Sud
Nel 2016 gli emigrati dal Sud sono stati 131.430.
Tra il 2012 e il 2016 il saldo netto è stato negativo di 783.00 unità di cui 220.000 laureati.
Inoltre, negli ultimi 16 anni, “hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti”, la metà dei quali «giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all'estero.
A fronte di questi dati, qualcuno può negare che i Italia, oltre al problema dell’immigrazione, esiste anche quello dell’emigrazione?
Dal punto di vista demografico, inoltre, il peso del Sud è diminuito ed è pari al 34,2%, anche per una minore incidenza degli stranieri.
Nel 2017 al Centro-Nord risiedevano infatti 4,2 milioni di cittadini non italiani, rispetto agli 872 mila del Mezzogiorno.
Occupazione
I dati più drammatici sono quelli dell’occupazione al Sud.
Sale l'occupazione, ma solo quella precaria. In tutto il Mezzogiorno, nel 2017, la crescita dei posti di lavoro è stata determinata quasi esclusivamente dai contratti a termine (+61mila, pari a +7,5%), mentre quelli a tempo indeterminato sono sostanzialmente stabili con un misero +0,2%. Negli anni degli sgravi contributivi erano saliti al 2,5%, ma finiti i vantaggi gli imprenditori non hanno rinnovato i contratti.
Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, passando da 362 mila a 600 mila, mentre al Centro-Nord sono 470 mila.
La Svimez parla di «sacche di crescente emarginazione e degrado sociale,” che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche». E definisce «preoccupante la crescita del fenomeno dei working poors, ovvero del lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all'esplosione del part time involontario.
Suscita preoccupazione anche un altro fenomeno, che la Svimez definisce “drammatico dualismo generazionale”. E spiega: «Il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di occupati nella fascia adulta 35-54 anni (-212 mila) e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità)». Si è dunque “profondamente ridefinita la struttura occupazionale a sfavore dei giovani”.
Servizi pubblici
Gli italiani del Sud sono persone a cittadinanza “limitata“.
I diritti fondamentali sono carenti in termini di vivibilità locale, di sicurezza, di adeguati standard di istruzione, di idoneità di servizi sanitari e di cura.
Nel comparto socio-assistenziale il ritardo riguarda sia i servizi per l’infanzia che quelli per anziani e non autosufficienti.
Ma è l’intero comparto sanitario che presenta differenze in termini di prestazioni, che sono al di sotto dello standard minimo nazionale.
E i viaggi della speranza, da Sud verso gli ospedali del Nord ne sono la conferma, soprattutto in alcuni campi di specializzazione.
Giù al Sud, se qualcuno in famiglia si ammala seriamente, rischia l'impoverimento tutto il gruppo familiare.
Non va meglio per l'efficienza degli uffici pubblici.
C'è un indice che riassume il divario crescente tra Nord e Sud per quanto riguarda la vita di tutti i giorni. L'ha creato Svimez. Eccone alcuni esempi. Fatto 100 il valore della regione più efficiente, il Trentino Alto Adige, la Campania si attesta a 61, la Sardegna a 60, l'Abruzzo a 53. Calabria (39), Sicilia (40), Basilicata (42) e Puglia (43) sono sotto la media.
Qualche riflessione
Alla luce di questi dati inoppugnabili, il mio Post “Prima gli italiani. Slogan elettorale efficace, ma quali sono i significati e quali le conseguenze?” acquista il suo pieno significato.
Come afferma la Svimez, gli italiani del Sud sono persone a cittadinanza “limitata“.
È una situazione che non può essere più tollerata.
Il Mezzogiorno deve diventare la priorità nazionale con una assunzione di responsabilità a tutti i livelli.
A cominciare, ovviamente, dal governo nazionale. Una delle cause della grande incertezza e della mancanza di politiche adeguate è sicuramente il fatto che il governo gialloverde non crede che per il Sud siano necessarie politiche specifiche, come ho denunciato nel post “Il contratto Lega 5 Stelle condanna il Sud al sottosviluppo”.
Lo sviluppo del Mezzogiorno sarebbe importante anche per il Nord; investire nel Sud non è solo spreco di risorse e assistenzialismo, come sostengono molti esponenti politici del Nord.
Il rallentamento dell’economia meridionale sarebbe dannoso anche per il Centro Nord poiché le due economie sono interdipendenti; lo Svimez stima che la domanda interna per consumi e investimenti del Mezzogiorno attiva circa il 14% del Pil del Centro Nord (che nel 2017 vale circa 186 miliardi a prezzi correnti).
È inoltre decisiva la riqualificazione, l’ammodernamento e la razionalizzazione delle istituzioni meridionali preposte all’amministrazione, allo sviluppo, ai servizi pubblici.
Antonio Ladu
Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.