Il tema della “flat tax” è stato ampiamente analizzato, da diversi punti di vista, nel sito dell’Associazione attraverso numerosi Post e commenti basati su dati, analisi degli estensori e risultanze degli studi economici più accreditati.
Si rinvia per l’approfondimento, per chi ne abbia interesse, ricordandone i titoli interattivi:
Flat tax: quattro effetti e un equilibrio da raggiungere. Di Riccardo Scintu
Nodo incapienti aggravato dalla proposta della Flat tax. Di Antonio Ladu
I Post hanno trovato riscontri sia positivi da chi ha condiviso il contenuto delle analisi e le valutazioni conclusive, sia critiche – per la verità poco argomentate – imputando soprattutto agli estensori l’esistenza di un pregiudizio, senza tuttavia contrapporre dati fondati e analisi di merito.
Ci sta, il mondo è bello perché è vario e vanno accettate nello scambio dialettico, ancorché respinte, valutazioni e giudizi troppo spesso mosse da imputazioni di livore per supposta appartenenza degli estensori a schieramnti politici risultati elettoralmente non vincenti: l’accettazione dell’esistenza della libertà di pensiero è merce rara di questi tempi.
Che dire quindi delle valutazioni durissime e trancianti sulla ipotesi di flat tax espresse dall’economista Andrea Roventini, già indicato ministro dell’economia “in pectore” della squadra di governo che Di Maio ha, improvvidamente ma in pompa magna, presentato in campagna elettorale. Cosa ne diranno i detrattori delle nostre analisi: giungeranno al punto di sostenere che, forse, le sue valutazioni sono dettate dal risentimento per la mancata nomina a ministro?!
Prima di riportare le valutazioni di Roventini riassumiamo in sintesi gli elementi su cui si basa la proposta della “flat tax” e la critica sulla loro fondatezza. L’ipotesi di applicazione in Italia della flat tax, in realtà ex contratto giallo verde diventata “dual tax” per redditi Irpef con aliquote al 15 e 20%, è basata su due principali presupposti:
1 – che l’abbattimento dell’aliquota massima possa contribuire a fare emergere il “sommerso”, cioè contrasti l’evasione fiscale.
Sul punto è stato dimostrato quanto fosse errato questo assunto: prendendo infatti come termine di confronto l’evasione fiscale in Italia, calcolata come percentuale sul PIL e pari al 27%, è stato evidenziato come nei Paesi europei ( in stragrande maggioranza Paesi dell’Est europei ) in cui è applicata la magica “flat tax”, l’evasione fiscale oscilla dal 29,2% della Lettonia, passa al 35% in Bulgaria, prosegue con il 52% in Russia e trova il suo apice nel 72,5% della Georgia. Sono stati citati solo alcuni Paesi, partendo da quello con minore a quello con maggiore tasso di evasione fiscale, ma ce ne sono altri che si collocano comunque nell’intervallo tra minimo e massimo.
Ne abbiamo concluso, razionalmente, che il recupero dell’evasione fiscale attraverso la flat tax è del tutto priva di fondamento e sembra invece coprire un approccio assai spinto di matrice neoliberista di rendere i già molto ricchi ancora più ricchi, restituendogli – con aliquota massima ipotizzata al 20% – una montagna di miliardi ( calcolata da Istituti terzi in circa 20 miliardi ). Questo ci porta al secondo punto:
2 – che attraverso la restituzione di grandi somme ai ricchi, che sono quelli che beneficeranno in modo evidente e sostanziale dell’abbattimento dell’imposizione fiscale, si presuppone – omettendo del tutto l’effetto di accrescimento delle disuguaglianze reddituali insite nell’operazione ipotizzata – che possano essere ricostituite condizioni di crescita economica.
Sul punto è stato prioritariamente sottolineato come l’analisi economica abbia evidenziato che attraverso la liberalizzazione dei capitali, logiche neoliberiste assolutamente aggressive e spregiudicate, non contrastate o troppo debolmente contrastate da politiche fiscali degli Stati, abbiano determinato una parziale distorsione del legame tra finanza ed economia reale, che ha visto la finanza imboccare strade in parte autonome ( c.d. finanziarizzazione dell’economia ): cioè la finanza produce rendite che vengono reinvestite in finanza per produrre nuove rendite, sottraendo ossigeno all’economia reale. I grandi redditieri, beneficiari primi di una eventuale flat tax al 20%, si avvantaggeranno di ulteriori disponibilità da reinvestire in finanza e non direttamente in attività produttive. Ciò grazie alla politica fiscale “potenzialmente” ipotizzata ex contratto da Lega e M5S.
Sotto altro profilo, ma nell’ambito della stessa logica economica a favore dei ricchi, studi economici approfonditi condotti da T. Piketty, J. Stiglitz e altri economisti ( ma già in precedenza K. Galbraith e altri ) e i più recenti del F.M.I e OCSE su distribuzione e reddito, hanno messo in evidenza:
a – la fallacia della tesi neoliberista secondo cui la disuguaglianza non ha effetti sulla crescita, evidenziando invece come la dimensione della torta non sia indipendente dalla dimensione delle singole porzioni: sempre più grande la fetta dei più ricchi e sempre più piccola quella degli altri;
b – l’esistenza di una forte correlazione negativa tra disuguaglianza e crescita economica, sottolineando come i Paesi più attivi nelle politiche di redistribuzione del reddito hanno la tendenza a crescere più rapidamente. Vale a dire che l’eccessiva disuguaglianza costituisce un freno alla crescita economica, perché influisce negativamente, tra l’altro, sull’accumulazione di capitale umano: le classi impoverite hanno accesso ridotto all’istruzione, rendendo più difficile l’aumento delle conoscenze, la mobilità e la capacità di intrapresa.
E veniamo a Roventini ( intervista a “La Repubblica” del 4/8/2018 ) che in ordine agli effetti sul reddito degli italiani con l’introduzione della flat tax, risponde:
“La flat tax è una riforma completamente scellerata, avrebbe un impatto negativo sui conti pubblici e sarebbe un regalo ai ricchi. Numerosi studi dimostrano che la flat tax comporta sempre un aumento del deficit pubblico, non è vero che si ripaga da sola. Chi lo afferma dice bufale: siamo in area no vax, per intenderci. Bisognerebbe aumentare la progressività fiscale e non ridurla”. Il commento è “in re ipsa”.
Alla domanda secondo cui i fautori della flat tax sostengono che abbia l’effetto “trickle down”, cioè che i benefici concessi ai più ricchi finiscono per favorire la crescita e dunque se ne avvantaggerebbe tutta la società, risponde:
” Il “trickle down” è un’altra delle panzane che sono circolate in economia per diversi anni»l’evidenza empirica dimostra invece che non esiste questo effetto. Semplicemente i ricchi diventano più ricchi e i salari delle classi più basse restano stagnanti. Con effetti negativi anche sulla mobilità sociale che resta bloccata”. Anche in questo caso il commento è “in re ipsa”.
Chiariamo meglio il riferimento al “trikle down” cioè il “gocciolamento dall’alto verso il basso”, un mantra del neoliberismo ( che interpreta una visione sociale orripilante che fa venire in mente film sul medioevo dove intorno alla tavola dei “signori” i poveri confidavano in qualche scarto di cibo lanciato dai convitati ), secondo il quale i benefici elargiti a vantaggio dei più ricchi favorirebbero “ipso facto” l’intera società, comprese la fascia media e la popolazione marginale e disagiata: appunto per “gocciolamento” del grasso che sfuggirebbe dalle mani dei ricchi. Bontà loro.
Una teoria che trascura del tutto gli effetti degli squilibri nella distribuzione dei redditi e della ricchezza, che è un effetto pressoché automatico connesso allo sgravio fiscale a favore dei ricchi; che trascura gli aspetti connessi alla redistribuzione ( assumendo al contrario quello della concentrazione sui ricchi ), omettendo pertanto del tutto i fenomeni della povertà e della disoccupazione e del connesso blocco dei ceti sociali, determinato dal mancato funzionamento dell'”ascensore sociale”, di cui uno dei meccanismi fondamentali è l’istruzione.
Chi vuole ha materiale sufficiente per valutare razionalmente, con mente sgombra, in quale cul de sac ci sta portando il governo giallo verde: questo ha senso soprattutto per i moltissimi che ne hanno condiviso, probabilmente con scarsa conoscenza delle implicazioni, le idee e che appartengono alle classi sociali che alla fine delle giostra saranno le più penalizzate. I ricchi gongolano.
Gianni Pernarella
Laurea in Giurisprudenza conseguita a Pisa e studi post laurea in Economia. Dipendente del Banco di sardegna dal 1973 al 2003. Dopo esperienza pluriennale di filiale, assume nel 1990 ruoli di responsabilità nella struttura centrale “Organizzazione e Sistemi Informativi” dove, in veste di funzionario capo progetto, ha gestito oltre 10 progetti organizzativi e relativi a sistemi informativi. Collaboratore per oltre 6 anni del SIL – PTO di Oristano; ha scritto quattro libri sulla materia del credito e dell'economia provinciale oristanese relativa all'artigianato.