La Democrazia liberale, di mercato e di consumo è oggi fortemente alleata del capitalismo e nessuno sembra in grado di guardare oltre il capitalismo.

Per rispondere alla domanda del titolo del pezzo utilizzo quanto scritto nel saggio, che ho letto recentemente, dal titolo “Sulla vocazione politica della filosofia”, scritto dalla professoressa di filosofia teoretica all'Università La Sapienza di Roma Donatella Di Cesare e da quanto da lei detto a Radio Radicale, in una conversazione con Andrea Billau, il 05.11.2018 in merito al contenuto del saggio stesso.

La Di Cesare spiega che l'intento del libro non è una chiamata alle barricate, tutt'altro. Nella sua ricerca filosofica, ma anche nel libro, cerca di seguire due filoni, quello dell'esistenza e quello della politica. Sulla base di queste due dimensioni rilancia le tre parole chiave del libro, che sono Atopia, Ucronia e Anarchia. Atopia (dal greco atopos) vuol dire fuori luogo ed è la parola che Platone usa a proposito di Socrate, che è l'archetipo del filosofo e di cui ricostruisce la figura, il processo e la morte, perché quello è il capitolo in cui si produce una cesura, una ferita tra la filosofia e la Polis. In altre parole Socrate è, appunto, atopos, il fuori luogo. È il cittadino, il filosofo che porta la filosofia nella Polis, nella città. Vive con gli altri ma non vive come gli altri, perché è sempre al margine, però entra nella piazza, rientra nell'agorà e cerca, appunto, di dialogare con i suoi concittadini, crede fermamente nel dialogo e le sue domande sono domande a partire dal suo “non sapere”: cerca in qualche modo di mettere in questione il presunto sapere dei suoi concittadini. In altri termini per lui la democrazia dovrebbe fondarsi proprio su questo dialogo, in cui si riconosce continuamente il “non sapere”. Questo però fallisce. C'è il processo di Socrate. Sappiamo bene che Socrate non sceglie l'esilio perché dice “io sono cittadino ateniese, accetto le leggi“. Nella Morte di Socrate sicuramente, nel modo in cui la descrive magistralmente Platone, c'è questa scena madre della filosofia in cui Socrate beve la cicuta e a un certo punto dice questa frase molto enigmatica e sibillina: “Critone dai un gallo ad Asclepio“. Il gallo ad Asclepio veniva offerto per la guarigione, quindi, in fondo la morte è vista da Socrate come una guarigione. C'è qui, ovviamente, anche il discorso che la filosofia è un prepararsi a morire. Però si produce una ferita, che è rimasta nei secoli tra la filosofia e la città. Cioè la filosofia viene sconfitta perché la morte di Socrate viene vissuta dagli allievi, particolarmente da Platone, come un trauma inspiegabile e, infatti, a partire da qui molti vanno via, molti lasciano Atene. Platone prima va a Siracusa, poi riesce a ritornare ad Atene e ad Atene fonda l' Accademia, cioè, dice, come ricorda la Di Cesare, “attenzione noi non andiamo via del tutto, rientriamo nella città ma come migranti, come esiliati, cioè portiamo l'esilio nella città“. Quindi, l'Accademia di Platone diventa, il luogo di un esilio. A questo proposito, la Di Cesare riporta una delle espressioni a lei più care: “i filosofi sono i sublimi migranti del pensiero”. L'Accademia platonica diventa anche un luogo di resistenza filosofica alla politica, però la cesura resta e resta nei secoli.

Nel suo saggio la Di Cesare riporta i momenti in cui la filosofia cerca di ritornare nella città. C'è la figura per noi italiani emblematica di Giordano Bruno, che, addirittura, viene bruciato e arso vivo a Campo dei Fiori e, quindi, è un trauma che si ripete e si ripete continuamente. Poi c'è il grande trauma del Novecento riguardante Heidegger, che, in un certo senso, cerca di nuovo di tornare nello spazio della politica, ma l'errore grandissimo che fa, oltre a scegliere il nazionalsocialismo come movimento rivoluzionario, è quello di non entrare lui nella polis ma di fare entrare la politica nelle Aule dell'Università. Questo trauma resta ancora oggi e, come scrive la Di Cesare, la filosofia, anche degli ultimi decenni, risente moltissimo di quello che è avvenuto nel Novecento e, quindi, è una filosofia definita “ancella della democrazia” e, precisa, della Democrazia liberale. Lo stesso concetto citato da Richard Rorty dice che “la priorità è la democrazia”, quindi la filosofia deve servire alla democrazia, con un risultato deleterio per la credibilità della filosofia stessa.

Dice ancora la professoressa “Ancora oggi c'è gran parte della filosofia che da un punto di vista politico, non ha osato criticare la democrazia né, soprattutto, e questo secondo me è il limite più grande, non ha saputo andare oltre l'orizzonte. Nella situazione in cui noi viviamo, la filosofia ha accettato la democrazia liberale, tentando continuamente di “democratizzare la democrazia”, di migliorarla, quindi, assumendo, se vogliamo usare termini più politici, un atteggiamento riformistico. Questo avviene già a partire da Hannah Arendt. Credo che lei sia proprio quella che inaugura questo indirizzo, ripreso poi da Habermas e da molti altri. Poi la filosofia diventa normativa, perde il potenziale critico, a mio avviso, ma, soprattutto, quello che mi sta più a cuore, perde il potenziale utopico.”

Tra i tanti filosofi citati, in particolare, nel saggio è citato Walter Benjamin, che è quasi il protagonista. Benjamin tenta, tra l' altro negli stessi anni di Heidegger, proprio l'ingresso nella città, nella metropoli. Per Benjamin il “filosofo deve assolutamente stare nella città, deve ritornare nella città. Il filosofo, però, deve anche accettare la sconfitta. Ma questa sconfitta, che è una sconfitta secolare della filosofia, che viene dalla sua estraneità, perché pensare estranea, porta la filosofia ad un'alleanza con gli sconfitti ed è questa alleanza con gli sconfitti che Benjamin indica con un' immagine, nella quale il filosofo è uno stracciaiolo, cioè uno che raccoglie gli stracci, cioè agisce politicamente non solo sul futuro ma anche sul passato. Quindi, riscatta il passato, il passato dei vinti, riscatta il passato degli sconfitti e questo punto dell'alleanza con gli sconfitti è decisivo e contemporaneamente decisiva è una filosofia del risveglio“.

Un aspetto importante che la Di Cesare mette in evidenza di Benjamin è che “il capitalismo in cui noi viviamo è una narcosi di luce, dove in realtà siamo un po' tutti sonnambuli, in dormiveglia. Il filosofo viene a risvegliare, la filosofia ha il compito del risveglio. Il risveglio da un sonno senza sogni. Il risvegliò non è un risveglio alla realtà ma il risveglio di Benjamin è il risveglio al sogno: “vengo a ricordarti, a te sconfitto, i sogni che hai dimenticato“.

Nel saggio questo deve essere oggi il compito della filosofia quando scrive di vocazione politica della filosofia. La filosofia nasce nella città, nasce nella polis, deve ritornare ma ritornare nella sua atopia, nella sua estraneità, nella sua ucronia, cioè nella sua capacità appunto di fare interagire simultaneamente tempi diversi, riscattare il passato in vista del futuro. Ma deve, naturalmente, anche deporre ogni sovranità, cioè la filosofia è anarchica, la filosofia, già a partire da Socrate, non conosce il principio, non conosce comando e, quindi, questo rimettersi ai sogni degli sconfitti è il grande compito oggi della filosofia.

Un altro concetto che metto in evidenza del saggio della Di Cesare è quello secondo il quale noi viviamo oggi in un “mondo di immanenza satura”, in uno stadio ormai di capitalismo avanzato, non riusciamo più a immaginare un oltre. Riusciamo perfino a immaginare di essere, grazie alla scienza, immortali, perché si lavora ormai per questo, o di andare su Marte, ma non riusciamo a immaginare un oltre del capitalismo, non riusciamo a guardare oltre: questo punto è decisivo.

Un'altra categoria evidenziata è la exofobia, c'è una paura del fuori, noi viviamo in questa paura del fuori che è una paura dell'oltre ma anche dell'altro. Siamo ripiegati su noi stessi e ci sembra che a questo punto il capitalismo sia l'orizzonte ultimo della storia. Infatti diciamo che questo regime di immanenza satura rimanda a un blocco delle alternative, che è appunto la cifra dello stato delle cose attuali.

Il tema della migrazione è importante in questo libro, che può essere considerato anche un proseguimento del saggio da Donatella Di Cesare dal titolo “Stranieri residenti”, perché i migranti di oggi sono gli sconfitti della storia. Quindi il libro “Stranieri residenti”, va in quella direzione, è la testimonianza di un impegno politico della filosofia dalla parte degli sconfitti.

La filosofia è oggi in una sorta di impasse. La filosofia classica vive questa crisi, cioè è una filosofia sulla falsariga delle teorie della stessa Arendt o Habermas, che è un filosofo di stato: Habermas è il filosofo della Merkel. Alla fine, anche questa filosofia è diventata, secondo la professoressa ancella della Democrazia e, per essere più precisi, della democrazia liberale e non mette in discussione l'alleanza tra la democrazia liberale e il capitalismo. Quindi è una filosofia che cerca di migliorare la democrazia, la democrazia reale e si accontenta di questo, perdendo la sua radicalità all'interno della cornice in cui noi oggi viviamo e non di rado emergono confusioni, cioè si perdono di vista anche gli orientamenti: non si sa più cosa sia la Sinistra e cosa sia la Destra. Nel libro si fa riferimento alla necessità di domande radicali, perché la filosofia è, soprattutto, domande, la filosofia non risolve i problemi, la filosofia deve porre domande e in un certo senso mettere in questione anche chi pone domande.

Secondo la Di Cesare “questa radicalità va oggi rilanciata e la filosofia può proprio indicare questo oltre che noi non riusciamo più a vedere.”

In questo sta l'attrito molto forte tra la politica e la filosofia, perché la politica oggi è vista sempre più come amministrazione, come governance, cioè la politica deve solo risolvere i problemi.

Ancora, scrive la Di Cesare, “noi abbiamo bisogno di una politica che non si riduca più a governance, che non si riduca più alla pura e semplice amministrazione, che non si avvicini alla polizia, perché politiche e polizia hanno la stessa etimologia, ma dove non c'è la politica c'è la gestione poliziesca, come, appunto, per quanto riguarda la migrazione. La politica ha bisogno della filosofia, cioè ha bisogno della prospettiva filosofica per riscoprire, appunto, il nesso con la polis, per essere una prospettiva nuova, capace, per esempio, di andare oltre il concetto di Stato e Stato – Nazione. Noi oggi abbiamo una politica che rimane all'interno dei confini statuali, quindi, è una politica che, necessariamente, finisce per essere nazionalista, sovranista. Ecco, la filosofia pone, per esempio, il problema dello Stato, pone il problema dello Stato – Nazione. Certamente questo porta un attrito con la politica, però ben venga. Se no, infatti, non solo la politica rimane nell'ambito dello Stato sovrano nazionale ma addirittura oggi come oggi il sovranismo, appunto, tende esattamente a creare le condizioni per cui anche i piccoli tentativi, magari grandi nelle intenzioni, alla fine portano a piccoli risultati della sovranazionalità. Pensiamo all'Unione Europea, che viene ovviamente messa in discussione e, appunto, più che dare soluzioni a domande nuove sembra che si ritorni indietro a domande vecchie, che sembravano ormai fuori dal dibattito. Si ritorna indietro a domande sul sangue, sul suolo, sulle strutture, insomma, di impostazione politica che sembravano superate. Così si supera anche il tabù del razzismo esplicitato, con tutta la politica dell'odio.”

Considero molto importante il concetto espresso nel saggio, secondo il quale dove non c'è pensiero non c'è la decostruzione anche dei miti e non c'è la decostruzione del mito, per esempio, del sangue, perché il diritto del sangue è un mito, il diritto del suolo è un mito: anche nella stessa proposta di legge del precedente Governo il titolo “Ius soli” era sbagliato, è giusto quello di “Ius culturae”.

Spero con questo pezzo di avere dato implicitamente una risposta alla domanda del titolo e un contributo al dibattito di questo periodo, nel quale è assente una proposta radicale che vada oltre all'idea che “il capitalismo è l'ultima frontiera della storia”, anche perchè, oltre agli splendidi ragionamenti della Di Cesare sull'impegno della filosofia dalla parte degli sconfitti, il capitalismo ha fallito su tutta la linea e, come già scritto in altri pezzi si sono dimostrati errati i due postulati imprescindibili, cardini del capitalismo e, cioè, che la crescita, dopo un prima periodo di aumento della povertà, è in grado, successivamente, di diminuirla e regalare a tutti prosperità e abbattimento delle disuguaglianze e, dopo un primo periodo, nel quale aumentano i rifiuti e l'inquinamento e si fanno sentire gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, è in grado di fornire all'umanità gli strumenti per invertire questa rotta nefasta. Crescono in maniera esponenziale le disuguaglianze e il pianeta Terra è sempre più inquinato e la crisi ambientale sta accrescendo sempre di più gli effetti catastrofici del clima.

No, il capitalismo ha dimostrato che non è l'orizzonte ultimo della storia. Il modello di Società che più si avvicina alle esigenze dell'uomo, ma anche della biosfera, di cui l'uomo fa parte, è quello equo, sicuro, di pace e sostenibile, non quella capitalista, del mercato come unico riferimento.

La filosofia, nell'accezione descritta, è indispensabile, perché la filosofia radicale è una filosofia che si interroga e che interroga. Per esempio, mette in discussione il mito del suolo, mette in discussione la cittadinanza come proprietà del territorio nazionale, mette in discussione anche la Nazione. Apre orizzonti nuovi, di riscatto degli ultimi e di una Democrazia che veramente offre anche agli ultimi la possibilità di diventarne cittadini a pieno titolo, con tutti i diritti e le responsabilità. Cittadini che veramente possono godere appieno dei diritti sociali ed economici, contribuiscono al progresso delle nostre Comunità ed essere soggetti attivi anche nell'Agorà della Politica. Aggiungo che è indispensabile che ci sia una ripresa del senso di Comunità Umana e della Cultura Umana, che devono rientrare a pieno titolo nella Polis.

Giampiero Vargiu

Laureato in Ingegneria elettrotecnica all'Università di Cagliari nel 1980. Sindaco del Comune di Villagrande Strisaili dal 1995 al 2000. Socio della Societ di Ingegneria TEAM SISTEMI ENERGETICISRL, che ha sede operativa a Oristano e opera in tutta la Sardegna. Esperto in efficienza energetica e fonti di energia rinnovabili.