Analizziamo il contesto economico della Sardegna, che considera i dati macroeconomici e la loro variazione nel tempo. Un primo elemento per giudicare della vitalità di una regione è il tasso di natalità. Uno studio demografico dell’Università di Sassari ha previsto, nel corso dei prossimi 30 anni, un drammatico spopolamento dell’isola, 400 mila abitanti in meno, se continuerà l’attuale tasso di natalità e lo stesso trend di emigrazione.
Altro elemento su cui si gioca il futuro di una regione è quello dell’istruzione e della formazione professionale. Per capire quale sia la situazione ci rivolgiamo ai dati che riguardano la dispersione scolastica. Troviamo cifre che dovrebbero far suonare più di un campanello di allarme: il tasso di dispersione scolastica supera il 24 per cento, ben al di là della media nazionale che arriva al 15 per cento. Cresce la percentuale dei laureati, al 9,5 per cento nel 2015, ma la laurea è spesso svincolata dal mondo del lavoro, e gli studi universitari rischiano di trasformarsi in un parcheggio, senza prospettive concrete di inserimento dei giovani nel contesto economico.
Per una regione votata al turismo e all’accoglienza come la Sardegna è fondamentale la tutela dell’ambiente, ma anche in questo campo la situazione non è certo esente da ombre. Le cattedrali nel deserto degli anni 60, ormai abbandonate a causa del venir meno degli incentivi, e le servitù militari, con i loro poligoni, hanno lasciato una scia di inquinamento e di veleni che deturpano l’ambiente e danneggiano l’equilibrio naturale. In questo campo è difficile oggettivare i danni ambientali subiti dal territorio, ci limiteremo quindi ad elencare i siti più a rischio inquinamento. Ottana, Portotorres, Sant’Antioco, il poligono di Quirra, la base navale de La Maddalena. Accanto a questi la Saras di Sarroch, i cui impianti di lavorazione petrolifera sono in piena attività. Inoltre la concreta possibilità, scongiurata da un referendum popolare plebiscitario, che in Sardegna venisse costruita una centrale nucleare, con conseguente gestione delle scorie radioattive. Un altro filone importante da seguire sarebbe quello dei rifiuti e dei materiali utilizzati nelle costruzioni stradali ed edilizie.
Giungendo al cuore del problema, i dati dell’ISTAT indicano un calo dell’occupazione nel settore industriale di 43 mila unità nel periodo 2004-2010 con un tasso di mortalità delle aziende del 7,9 per cento. Questi dati regalano alla Sardegna un primato poco invidiabile, di essere al 309esimo posto su 315 regioni dell’Unione Europea. Dove la situazione si fa ancora più disperata è sul fronte del tasso di disoccupazione giovanile, dove a fronte di un 20 per cento medio europeo, la Sardegna raggiunge il 56 per cento nel 2015, un dato che è superiore a quello di molti paesi del terzo mondo. Il tasso di disoccupazione ha subito un’impennata negli ultimi dieci anni, superando il 18 per cento nel 2015.
Anche l’industria della vacanza accusa i colpi della crisi, aggravata in questi anni dall’aumento delle tariffe dei traghetti e dalla concorrenza di altre regioni più organizzate nei servizi turistici.
Il contesto economico presenta dati pesanti che devono far riflettere sulle scelte operate nel passato, con la dispersione di una ingente massa di risorse proveniente dagli aiuti di Stato e da quelli comunitari. Oggi che questi aiuti stanno venendo meno gli speculatori cercano altre prede da spogliare. Permangono molte zoned’ombra sugli appalti pubblici, sugli investimenti e sulla gestione della sanità, sulle concessioni demaniali e sulla gestione dei piani regolatori nell’edilizia. La grande fuga degli industriali pubblici e privati lascia stabilimenti e capannoni vuoti e manda a casa senza lavoro e senza prospettive decine di migliaia di lavoratori.
Finito nel nulla un modello di sviluppo fortemente voluto da una classe politica incapace di guardare al futuro, quali prospettive si aprono per il futuro? Come uscire da una crisi che investe la società sarda, con peculiarità differenti da quella che attraversa il resto dell’Europa? Sono domande a cui cercheremo di rispondere,senza la presunzione di possedere ricette miracolose.
Limitiamoci, per brevità di esposizione, ad indicare i principi su cui basare il percorso per uscire dal declino: una presa di coscienza democratica del popolo sardo sui suoi diritti di partecipazione politica alle scelte strategiche; un deciso orientamento verso la green economy; il sostegno della creatività intellettuale ed imprenditoriale attraverso lo snellimento della burocrazia; un sistema di tassazione giusto ed equo che tenga conto dell’insularità e che restituisca alla Sardegna le risorse indebitamente trattenute dal governo centrale; un percorso che attraverso la valorizzazione turistica del territorio dia prospettive di lavoro a quanti oggi disperano di trovarlo.
Giorgio Pani