Mi hanno stimolato a scrivere questo post quattro vicende. Lo faccio in punta di piedi, perchè considero questo tema molto importante, delicato e degno del massimo rispetto.

La prima vicenda mi è stata suggerita da “Il punto” di Paolo Pagliaro, dedicato alle donne che pagano un prezzo altissimo nel periodo di lockdown, nella trasmissione Otto e Mezzo di sabato 16 maggio scorso, condotta da Lilli Gruber su La7.

L'ex redattore capo de La Repubblica ha raccontato di due signore tedesche che hanno inviato provocatoriamente al Ministro dell'Istruzione e al Ministro della Famiglia una fattura per avere ricompensate le molteplici prestazioni da loro effettuate in famiglia in questo periodo di lockdown dovuto al Covid 19.

Frau Andrea Reif, blogger e madre di tre figli, ha chiesto con regolare fattura al proprio Land 12.423,00 euro per le varie funzioni da lei svolte in famiglia per sei settimane di lockdown.

Analogamente, Frau Patricia Cammarata ha emesso fattura per 22.296,00 euro per l'assistenza e la formazione dei propri figli, comprensiva del tempo dedicato e dei soldi investiti per materiali, elettricità, acqua e riscaldamento.

Le due signore sono l'avanguardia di un movimento che in Germania sta suscitando molte adesioni ma anche furibonde polemiche.

Le fatture sono una provocazione, ma non lo è la rivendicazione per il compenso per il lavoro domestico e il tempo pieno dedicato ai figli e ai mariti, accuditi sostituendosi a Istituzioni pubbliche come la Scuola e gli asili nido o private come le mense aziendali.

Accusate dalle imprese di considerare i figli solo un peso e un costo e di essersi dimenticate di averli messi al mondo volontariamente, la Reif e le sue compagne di lotta replicano dicendo che le imprese ricevono dallo Stato enormi risorse. Non si capisce perchè le mamme debbano arrangiarsi. Dice la Reif “Sono una madre, sono una potenza economica di questo paese e come tale voglio essere considerata.”

L'altra vicenda è stata la notizia che ha dato all'Associazione Oristano e Oltre la psicologa Francesca Loi nella videoconferenza di venerdì 8 maggio scorso. Parlando della situazione vissuta dai suoi pazienti nel lockdown e delle prospettive future, ci ha informato di aver creato un Gruppo Facebook denominato “Psicochiacchere”, che in poco tempo ha riunite circa duemila mamme, bisognose di un punto di riferimento in questo periodo che le ha viste sottoposte a un enorme stress per il loro molteplice ruolo all'interno della vita familiare. I figli, i mariti, i compiti dei bambini, l'economia domestica, il “lavoro agile”. Una Comunità creata in poco tempo, un luogo virtuale utile per non sentirsi sole davanti a un uragano, che ha sconvolto le loro vite, già di per se impegnative su molti fronti. Un luogo che ha supplito a una impreparazione dello Stato Sociale della nostra Italia, ma che non può essere più tollerato, perchè disattende lo stesso spirito della Democrazia.

con la terza riprendo un articolo del 15 maggio scorso, apparso sul sito “prima biella” dal titolo “Lavoro al femminile. Emergenza covid: tre donne su quattro dichiarano di occuparsi interamente della casa e della famiglia.”

Una ricerca di “Laboratorio Futuro”, promossa dall'Istituto Toniolo e dall'Università Cattolica, in Partnership con IPSOS, evidenzia, in un seminario virtuale, coordinato dalla giornalista Tiziano Ferrario, con la presenza della Ministra della Famiglia Elena Bonetti, che il 74% delle donne italiane dice di occuparsi interamente della famiglia.

Sono due i dati che confermano la condizione svantaggiata della donna nella società italiana: il livello dell’occupazione femminile, con l’Italia negli ultimi posti in Europa e il ruolo ancora totalizzante che il lavoro domestico e di cura assegna all’universo femminile. Una situazione peggiorata dall’emergenza Cooronavirus, che potrebbe diventare una buona occasione per un ripensamento radicale delle politiche pubbliche.

Lo studio, condotto da Ipsos, presentato dalla docente in Scienza delle Finanze all'Università Bocconi Paola Profeta, mette in luce i dati negativi, aggravati dall’emergenza Covid, ma anche gli elementi con cui è possibile invertire la rotta. Il gap di genere emerge soprattutto nel mondo del lavoro con un basso livello occupazionale e una forte diseguaglianza salariale. Le donne, infatti, sono più presenti nei lavori meno remunerativi, soprattutto a livello dirigenziale.

Questo succede nonostante sia ampiamente dimostrato che investire in maggiore occupazione femminile corrisponderebbe a un aumento del Pil del +11%, con ricadute anche su una maggiore fecondità e su una crescita sostenibile: le differenze di genere nell'ambito lavorativo si traducono in quella che l’avvocatessa Manuela Ulivi, fondatrice della casa di Accoglienza delle donne maltrattate di Milano, chiama “violenza economica”, un “terreno fertile per creare posizioni di dominio e sudditanza.”

I dati, inoltre, evidenziano che le donne laureate sono più degli uomini ma, soprattutto, nelle discipline meno remunerative. Solo il 17% delle italiane sceglie discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics). Secondo il prorettore dell’Università Cattolica Antonella Sciarrone Alibrandi “La risposta in positivo, oltre a incentivare questo tipo di studi tra le ragazze, è di valorizzare in modo adeguato a livello remunerativo professioni a maggioranza femminile, come, per esempio, il mondo dell’istruzione.”

Il lockdown ha peggiorato la condizione delle donne in relazione al carico della famiglia e del lavoro domestico. Ma l’aumento di uomini a casa grazie allo smart working potrebbe modificare gli equilibri dominanti.

La ministra Bonetti, ha concluso dicendo “Non possiamo scindere il tema della maternità da quello del lavoro. Bisogna riattivare una progettualità di cui l’Italia necessita. In questo il mondo femminile può esercitare una forza proattiva.”

L'ultima vicenda che voglio mettere in evidenza è un pezzo del 20 aprile scorso di Flavia Perina su Linkiesta dal titolo “Quote Covid – Occupiamoci delle donne, altrimenti il virus trasformerà le mamme lavoratrici in casalinghe.”

Scrive la Perina “Le fabbriche sono importanti. E anche l’agricoltura. I braccianti. Le partite Iva, turismo, l’impresa media e piccola, il commercio, le librerie, la moda. Tutto a grave rischio, tutto da riorganizzare attentamente nella Fase 2. C’è però un “settore”, chiamiamolo così, che attraversa tutte queste categorie trasversalmente, è presente ovunque e ovunque ha faticato a conquistare posizioni e salario: è il settore delle donne che lavorano, circa nove milioni. Una parte consistente di questo esercito sta chiedendosi se il 4 maggio – o il 14, o quando sarà – potrà tornare a timbrare il cartellino, e come riuscirà a farlo. Le scuole sono chiuse, gli asili e i nidi pure, il lockdown dell’assistenza ai bambini (ma anche ai disabili e agli anziani) durerà ancora a lungo: le madri sono e saranno per mesi il solo “servizio” disponibile per ammortizzare le conseguenze dell’emergenza. Per migliaia di loro le dimissioni diventeranno una scelta obbligatoria, così come il ritorno al ruolo esclusivo della casalinga.”

Ancora “Che gli uomini dell’esecutivo non se ne occupino, così come gli uomini dell’impresa, delle professioni, della sanità, è piuttosto ovvio: non vedono il problema, non ne sono toccati, non lo vivono nel loro quotidiano. E c’è pure il sospetto che “donne a casa e uomini al lavoro” sembri a molti di loro una soluzione quasi perfetta per le difficoltà presenti e future del welfare. Peraltro l’emergenza Covid è un palcoscenico tutto al maschile. Da mesi si vedono praticamente solo uomini a darci disposizioni e a spiegarci la vita in tv. Uomini i governatori, i dirigenti sanitari, gli assessori, i capi e sottocapi di protezione civile che tengono banco nelle conferenze stampa. Uomini, quasi tutti, quelli dei comitati di consulenza. Nella rappresentazione mediatica della crisi, alle signore è stato riservato il ruolo di interpreti nella lingua dei segni: mai se ne è vista una al fatidico “tavolo delle autorità”. Anche per questo è il momento di svegliarsi e rivendicare l’enormità del problema che si apre per le lavoratrici. Pure se le lezioni online funzionassero a pieno regime, c’è una enorme platea (un milione e mezzo) di bambini tra i 6 e i 12 anni che non può essere lasciato a casa da solo davanti a un computer, senza contare la fascia 3-6 anni, quella che normalmente frequenta la scuola dell’infanzia pubblica e privata. I bonus di 600 euro per le tate andavano bene nella primissima fase dell’emergenza: davanti a un fermo di lunga scadenza, fino a settembre, con probabili stop e ripartenze se il virus tornerà a mordere, diventeranno insostenibili.”

Rispetto a quanto scritto dalla Perina, alcune cose sono cambiate e da domani 18 maggio parte una fase 2 di maggiore libertà di movimento, ma la posta in gioco non è un dettaglio di poco conto nell’enormità dell'uragano che ha investito il mondo. Se il lavoro torna a essere “cosa da uomini” l’Italia rischia di compiere un passo indietro irrimediabile, con milioni di cittadine più povere e più infelici.

Mi rendo conto di affrontare in maniera approssimativa una tematica che meriterebbe ben più ampio spazio e soluzioni radicali che sono nell'interesse di tutti, ma di alcune cose sono fortemente convinto:

– il lavoro delle donne a casa val bene una fattura;

– serve una rivoluzione radicale per un mondo nuovo, che deve partire prima di tutto dalle donne, ma riguarda anche gli uomini, perchè il modello di mondo maschilista ha fatto il suo tempo e prodotto la Società di oggi, guerrafondaia, omofoba, oltremodo competitiva e consumistica, poco o niente attenta ai deboli, all'ambiente e fallimentare anche nelle scelte economiche. Prima ce ne accorgiamo noi uomini è meglio è per tutti;

– molte più donne nelle posizioni apicali, anche in politica, sarà l'unica possibilità che ha l'umanità per cambiare il mondo e costruire un modello di Società equa e sostenibile.