Il rapporto con le erbe costituisce solo un aspetto dell’attenzione che l’uomo ha sempre dedicato all’ambiente naturale. E proprio grazie a questa sua attenzione a tutto quanto lo circondava che l’uomo ha potuto arricchire col passare dei secoli le sue conoscenze e i mezzi a sua disposizione in funzione della sopravvivenza sia del singolo individuo che dell’intera comunità.
Sempre grazie a questa attenzione l’uomo ha potuto e saputo trarre anche dal mondo animale e da quello inorganico elementi e sostanze più e meno importanti anche nell’ambito della pratica terapeutica.
Anche a supporto di questo aspetto del rapporto dell’uomo con l’ambiente, riteniamo opportuno portare almeno qualche esempio, sia per le terapie magiche che per quelle empiriche.
Riprendendo il caso dell’itterizia, nell’ambito del mondo animale, la terapia magica praticata si svolgeva nel modo seguente : siccome si riteneva che il colore giallognolo del malato fosse provocato dalla stria (civetta), la terapia avveniva bruciando e riducendo in cenere delle piume della stria, mischiandola al caffè e facendola bere al malato. Il ricorso alle piume della civetta si spiega col fatto che, nella cultura popolare, si riteneva che questo uccello notturno, mentre sorvolava le case, urinava; se una persona veniva a contatto con poche gocce di urina restava vittima della malattia.
Per quanto riguarda la sciatica, abbiamo riscontrato la presenza della seguente terapia : il malato doveva recarsi dal guaritore portando un femore di coniglio o di lepre. Con questo femore il guaritore confezionava uno scapolare che il malato doveva portare sempre addosso a contatto con la gamba malata. Lo scapolare consisteva in una piccola sacca di tessuto che conteneva il principio terapeutico, in questo caso il femore di un coniglio. Se succedeva di smarrirlo non bisogna assolutamente cercarlo a significare che la terapia aveva svolto il suo effetto.
Un’altra terapia magica in cui si fa ricorso allo scapolare è quella relativa alla scrofolosi, meglio definita come adenite tubercolare. L’operatore uccideva in fase di luna calante una rana, ne estraeva le ossa, elemento curativo, che venivano inserite nello scapolare. La terapia si effettuava passando lo scapolare sulla parte malata, in questa patologia, sul collo.
Vorrei mettere in evidenza, sempre nell’ambito delle terapie magiche, un pratica riguardante ancora l’adenite tubercolare. Il malato doveva consumare qualche pezzo di biscia arrosto. Le bisce dovevano essere maschio e femmina e andavano prese a luna calante proprio quando erano intrecciate l’una con l’altra in amore.
Passando alle terapie empiriche del mondo animale, era molto diffusa la cura dell’ulcera gastrica con le lumache. La lumaca andava sgusciata e ingerita viva a digiuno, almeno una volta al giorno, possibilmente la mattina. È interessante notare come i guaritori avessero capito che la bava di lumaca esercitava una protezione sulle mucose dello stomaco, che ricorda l’uso attuale delle mucillagini nella naturopatia.
Le lumache venivano usate anche per la cura del mal di testa nel modo seguente : si confezionava una sorta di impiastro (cataplasma) schiacciando la lumaca senza guscio e mischiandola con farina, aceto, vino, acqua e sale. Questo cataplasma veniva applicato alle tempie e lasciato finchè non si staccava da solo.
Molto particolare è una pratica terapeutica di carattere magico ancora una volta radicata nel mondo animale. Localmente, nel dialetto campidanese, questa patologia viene definita col nome di “mudridura“, e consisteva in una forma particolare di irritazione della pelle attribuita ad alcuni rettili in particolare al geco. La terapia consisteva nel passare a croce sulla parte malata il “contrafaneu“. Questo particolare oggetto, simile ad uno scapolare, veniva preparato con una vipera presa a fine ciclo lunare nel mese di marzo. Al momento della cattura non ci doveva essere nessuna altra persona. Una volta presa la vipera, le si tagliava la testa e la coda, si facevano essiccare e poi si mettevano dentro una piccola sacca in pelle che andava chiusa ermeticamente con una cucitura. Per praticare la cura bisognava prima passare questo controveleno per terra e poi sulla parte malata, a croce.
Fra le terapie di carattere empirico relative al mondo animale, ci sembra particolare la cura che prevede l’uso del latte di asina per la tosse asinina chiamata anche pertosse. Già ai tempi dell’antica Roma, il latte d’asina è stato utilizzato dall’uomo contro le malattie e l’invecchiamento della pelle. In tempi più recenti, è stato utilizzato anche contro la pertosse dei bambini non a caso chiamata tosse asinina. Recenti studi hanno dimostrato che il latte d’asina è l’alimento naturale di origine animale, con le caratteristiche più vicine al latte materno, rispetto ad altre specie animali. Il latte di asina viene oggigiorno studiato per le sua azione antinfiammatoria e protettiva vascolare. Un contenuto in enzimi e sostanze ad azione immunoprotettiva potenziano le difese immunitarie.
Nando Cossu
Laureato in Storia e Filosofia all’Università di Cagliari, ha conseguito il diploma di Specializzazione in Studi Sardi con una tesi sulla medicina popolare in Sardegna. La medicina popolare e la cultura materiale dell’isola hanno costituito l’ambito principale della sua ricerca. Insegnante e dirigente scolastico, ha curato per la comunità Arci-Grighine la sezione del Piano di sviluppo socio-economico dedicata alle tradizioni popolari e alla cultura popolare e si è dedicato all’allestimento e alla cura del Museo del giocattolo di Ales. Per quanto concerne la medicina popolare, oltre a vari articoli, ha pubblicato il volume “Medicina popolare in Sardegna. Dinamiche, operatori, pratiche empiriche e magiche”, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1996 (presentazione di Enrica Delitala) e “A luna calante. Vitalitàe prospettive della medicina tradizionale in Sardegna “, Argo, Lecce, 2005 (presentazione di Giulio Angioni). L’ultima pubblicazione è stata “L’amore negli occhi. ” Rapporti fra i sessi e formazione della coppia nella società agropastorale sarda “, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2014