Anche in Italia, come nel resto dei Paesi industrializzati, si è affermato il movimento NIMBY (“not in my backyard“, acronimo inglese che, tradotto, significa “non nel mio cortile”). Si tratta di una forma di protesta organizzata contro la costruzione di opere di interesse pubblico o privato, che una collettività ritiene dannose per il territorio in cui si pensa di realizzarle.
Il fenomeno non è recente. Il dissenso popolare, legato allo sviluppo dell’urbanizzazione e all’industrializzazione, si è sempre espresso ma, soprattutto negli ultimi trent’anni, si è consolidato e strutturato in un numero crescente di comitati e movimenti di cittadini.
Le opere più contrastate sono le infrastrutture per la viabilità come, ad esempio, la tanto discussa TAV e quelle energetiche, con particolare riferimento ai termovalorizzatori. Ma le proteste sono ormai estese anche a impianti che dovrebbero produrre energia da fonti rinnovabili.
Da precisare che i sostenitori del NIMBY non ritengono necessariamente che un’opera non sia importante o che non debba essere creata. Pretendono che, nell’eventualità, la si realizzi altrove, non nel proprio cortile, appunto. Ed è proprio questa forma di egoismo a caratterizzarli.
Tra gli aderenti alle opposizioni, non vi sono solo persone informate che si dichiarano contrarie con cognizione di causa. Spesso vi partecipano individui che ignorano gli effetti reali e i rischi derivanti da un possibile impatto ambientale di un’opera e manifestano, perlopiù, mossi da un condizionamento emotivo, sollecitato dai mezzi di informazione o da politici locali che, a seconda dei casi, utilizzando espressioni legate a una presunta volontà di “deturpare” o “sventrare” il territorio (si veda il mio pezzo “Frame e comunicazione”), condizionano in maniera irreparabile l’atteggiamento dei cittadini che provano immediata, comprensibile preoccupazione e conseguente ostilità.
A tal proposito, tra le varie sigle nate intorno al NIMBY e affini ad esso, si trova il NIMTO (“not in my term of office” ossia “non durante il mio mandato”), che indica l’atteggiamento di rifiuto nei confronti di un’opera da parte di chi si candida a una carica pubblica o già la ricopre. In questo caso, la reticenza non è legata tanto a questioni oggettivamente negative, quanto alla possibilità che, la posizione assunta in merito, possa far aumentare o far diminuire i consensi verso un singolo individuo, incidendo sulla sua personale carriera.
Non è facile contrastare l’atteggiamento NIMBY, soprattutto quando fa leva su questioni legate alla salute. Certo è, però, che se in ogni parte del mondo dei gruppi di persone ostacolassero la creazione di impianti che, seppur impattanti, possono comunque rivelarsi utili alla collettività, il mondo resterebbe fermo. Questa ostilità, seppur in alcuni casi giustificata ostacola, di fatto, il progresso. Solo in Italia si parla di diverse centinaia di opere bloccate da comitati di protesta.
Nei tempi moderni, una posizione ambientalista fine a se stessa è difficile da sostenere. Le crescenti necessità sociali ed economiche legate allo sfruttamento del territorio, impongono di abbandonare una posizione di stretta difesa della natura che riduce all’immobilismo, per assumerne una che si occupi di concentrare l’attenzione su trasformazioni che consentano a tutti i cittadini di godere dei possibili benefici derivanti da nuovi impianti.
Analizzare la reale fattibilità di un progetto e verificare la scrupolosità adottata nell’ideazione, è fondamentale. Non si tratta di mero marketing, della vendita di un prodotto intorno al quale devono essere creati una “confezione” e uno spot che lo rendano più appetibile. Si tratta di avviare un dialogo serio e responsabile tra le parti interessate, attivando un confronto sull’oggettiva utilità di un’opera, grazie all’intervento di esperti che sappiano spiegare al meglio costi e benefici di un impianto, collaborando con i comitati che hanno il diritto di conoscere e capire, non già di opporsi a tutto a prescindere.
Tuttavia nella realtà accade, non di rado, che siano gli stessi promotori del movimento NIMBY, incuranti dei dati forniti dalle società di costruzione, a fornire notizie sbagliate, dando risalto alle ragioni del NO e fornendo una visione parziale e negativa di ciò che si vorrebbe andare a fare e sulle sue ricadute.
Tutto questo aiuta a comprendere perché oggi i comitati esprimano il proprio dissenso anche nei confronti di infrastrutture green ed ecocompatibili come, ad esempio, gli impianti eolici o fotovoltaici. Tra le motivazioni addotte, occupazione del suolo e inquinamento visivo vanno per la maggiore. Ma quelle reali, in molti casi, sono per lo più legate a scadenze elettorali e a personalismi.
È doveroso prepararsi, entrare in possesso di documenti e studi che consentano a ogni cittadino di informarsi in modo chiaro e corretto, ascoltando le ragioni a favore e quelle contro, fino a maturare una propria opinione autonoma. E in questo processo, le informazioni devono essere trasmesse in modo trasparente.
Il progresso deve servire a migliorare la vita delle persone. Nessuno desidera avere nel proprio giardino un termovalorizzatore o una TAV ma i rifiuti devono essere smaltiti e, persone e merci, devono poter circolare in maniera sempre più agevole e veloce.
Si deve solo saper mediare tra la modernità che avanza, a volte con i propri eccessi, e la reale utilità di un’opera.
Elisa Dettori