La prima di due, brevi storia di vite sufficienti a far conoscere la condizione della donna nella società agropastorale sarda (per non dire europea). Questa intervista risale alla prima metà degli anni settanta del secolo scorso e nella sua brevità mette in evidenza quale carico di responsabilità (e di fatiche) ricadevano sulle spalle delle donne. Soprattutto quando il “capofamiglia” veniva meno ai suoi doveri, magari per la bettola, o mancava del tutto, come nel caso di Dondedda.
La seconda, breve storia verrà pubblicata prossimamente.
Io non mi sono fidanzata, mi hanno fidanzato.
La madre di quello che sarebbe stato il mio fidanzato era amica di mio fratello, il quale, quando io son partita a Buggerru per fare la domestica, si è lasciato convincere da questa donna a richiamarmi a Cabras per farmi sposare con suo figlio.
Così mi è arrivata una lettera in cui mi si diceva che se non fossi tornata in paese entro un certo tempo sarebbe venuto mio fratello a portarmi via a colpi.
Io non riuscivo neanche ad immaginare che cosa potessero volere, ma i padroni mi consigliarono di andare almeno per vedere cosa c’era e così sono rientrata.
Ebbene, ho trovato il fidanzamento già fatto, senza che io sapessi neanche chi fosse lui. In casa mi dissero solo che era una persona benestante, che aveva pronto anche il terreno per fare la casa, senza dirmi però chi era. Io non facevo altro che dire che non lo volevo, per questo non mi lasciarono ripartire.
Un giorno sono andata a prendere una brocca d’acqua e mi vedo la madre.
Lei si allontana e dopo un po’ ricompare accompagnata dal figlio. A quel punto io ho capito la cosa e sono corsa subito a casa.
Un altro giorno sono uscita con una mia amica e lui ci veniva dietro. Questa scena si è ripetuta tre-quattro volte, poi un giorno ha mandato a dire con mio fratello che sarebbe venuto a casa perché mi voleva per moglie.
Ricordo che gli risposi: <<Seis unsagamentu de cù. Se una non vuole fidanzarsi, perché volete fidanzarla a forza?>>.
Il giorno in cui è venuto a casa lo aspettavo per le otto e quando ho visto che a quell’ora non era ancora arrivato me ne sono andata a letto.
È sopraggiunto alle nove con mio fratello, che mi ha fatto alzare a forza, gli ho detto di sì e me ne sono tornata a letto.
Otto giorni dopo ci siamo fidanzati. A distanza di sei mesi ha cercato di darmi il primo bacio e son rimasta più di due ore piangendo, perché mi vergognavo solo al pensiero di essere stata baciata da un uomo.
Io non sapevo niente di quello che doveva avvenire tra marito e moglie, l’ho saputo da sposata e mi sono spaventata.
C’era anche chi quelle cose le conosceva, ma io ero tremenda, stavo male anche solo a sentirne parlare.
Però, anche se non sapevo niente, quando è arrivata l’ora ho dovuto imparare per forza.
Mi sono capitati quattro figli, non perché io li abbia voluti, ma perché dio me li ha mandati e me li sono tenuti, anche se i bambini non mi piacevano.
Ero sin da piccolina sempre in mezzo ai bambini, facendo la domestica. In una casa ne avevo allevato cinque, in un’altra tre; insomma, erano dodici anni che facevo la serva agli altri. In una casa la padrona si è ammalata subito dopo il parto, è rimasta cinque mesi a letto e per tutto questo tempo la piccolina era più figlia mia che sua.
Eppure non sapevo niente su come nascevano i bambini, perché di queste cose non volevo neanche sentir parlare. Ricordo che una mia amica era sposata da tanti anni e non aveva ancora figli, per cui erano molto preoccupati, sia lei che lui.
Un giorno mi disse che le avevano consigliato di farlo quando c’era la mestruazione e io, anche se non ne sapevo niente, l’avevo incoraggiata a provare. Dopo alcuni mesi, ne abbiamo riparlato e lei mi ha detto che aveva avuto rapporti col marito tutti i giorni del ciclo mestruale, ma non era successo niente.
Poi ne sono venuti due quando meno se l’aspettava. È proprio vero che i figli li manda dio!
A me sembrava strana questa cosa che le avevano detto della mestruazione, perché mi avevano detto che per tutto il tempo che una donna era così non si doveva mettere acqua lì, guai! Addirittura molte non potevano neppure mettere i piedi nell’acqua. I
o non ho mai avuto disturbi, andavo al fiume, entravo in acqua fin sopra le ginocchia, ma non mi è successo mai niente. E ne ho visto, sai!
Un anno avevo cinque lissias (nota) e andavo al fiume cinque volte la settimana, estate e inverno, perché mio marito è rimasto dieci anni malato senza poter lavorare e allora non c’erano tutte le forme di assistenza che ci sono oggi, era tutto sulle tue spalle.
(nota) Vuol dire che lavava i panni di cinque famiglie diverse col sistema tradizionale dell’acqua bollente e cenere. Al fiume si effettuava l’operazione di togliere la cenere. Nella maggior parte dei casi le donne si recavano al fiume a piedi, con sul capo la bagnarola contenente i panni umidi e intrisi di cenere.
Nando Cossu
Laureato in Storia e Filosofia all’Università di Cagliari, ha conseguito il diploma di Specializzazione in Studi Sardi con una tesi sulla medicina popolare in Sardegna. La medicina popolare e la cultura materiale dell’isola hanno costituito l’ambito principale della sua ricerca. Insegnante e dirigente scolastico, ha curato per la comunità Arci-Grighine la sezione del Piano di sviluppo socio-economico dedicata alle tradizioni popolari e alla cultura popolare e si è dedicato all’allestimento e alla cura del Museo del giocattolo di Ales. Per quanto concerne la medicina popolare, oltre a vari articoli, ha pubblicato il volume “Medicina popolare in Sardegna. Dinamiche, operatori, pratiche empiriche e magiche”, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1996 (presentazione di Enrica Delitala) e “A luna calante. Vitalitàe prospettive della medicina tradizionale in Sardegna “, Argo, Lecce, 2005 (presentazione di Giulio Angioni). L’ultima pubblicazione è stata “L’amore negli occhi. ” Rapporti fra i sessi e formazione della coppia nella società agropastorale sarda “, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2014.