In un precedente Post:
Abbiamo analizzato la strumentale superficialità con la quale, a nostro avviso, la compagine governativa affronta le problematiche legate alla percezione degli investitori, in ordine al rischio correlato all’ondivaga idea che la compagine stessa evidenzia nell’approccio concreto alle linee di politica economica, di cui l’aumento dello “spread” è un segnale inequivoco da parte dei mercati.
Nel Post – cui si rinvia per la lettura, in considerazione dello stretto legame logico con la presente analisi – abbiamo sottolineato come “»Nell’inconcludenza che ha caratterizzato la formazione del nuovo governo, lo “spread” ha cominciato a salire»” ed ha continuato a crescere in presenza di una compagine governativa caratterizzatasi per: un’enunciazione, controproducente per gli effetti di allarme sui mercati, di contrarietà ai vincoli del debito pubblico, in un confuso balbettio correlato alla progressiva consapevolezza sulle difficoltà a dare gambe alle roboanti promesse elettorali, non verificate a priori nella loro praticabilità finanziaria né in campagna elettorale né tantomeno in sede di analisi per la stipula del ( oramai famigerato ) “contratto” di governo. Ne è seguita una ridondanza di proclami, ipotesi di azione un giorno, smentite il giorno successivo, che hanno creato e continuano a creare allarmismo che, allo stato, neppure la ferma posizione del Ministro dell’Economia Tria relativa ad una Legge di Bilancio rispettosa dell’equilibrio complessivo dei conti ( in cui confidiamo ) ha attenuato.
E veniamo al tema. Sarei oltremodo interessato a capire se gli elettori della compagine governativa – che mi sembrano particolarmente inclini nel giustificare e condividere acriticamente qualunque posizione sostenuta dal duo Salvini – Di Maio – abbiano la pur vaga consapevolezza che si apprestano, purtroppo insieme a tutti gli altri italiani che ne farebbero volentieri a meno, a pagare di tasca le conseguenze delle improvvide uscite dei due Leaders, che hanno contribuito non poco alla crescita dello “spread”.
Ci occuperemo quindi di analizzare e chiarire, nel modo più lineare e semplice possibile, i meccanismi attraverso cui l’aumento dello “spread” si rifletta non solo sull’intuibile gravame nel servizio per interessi sul Debito Pubblico, ma si riverberi, per un meccanismo di trasmissione a cascata, determinando un aggravio concreto e palpabile nelle tasche dei cittadini.
Qualche esponente del M5S ha gongolato sui “social” a seguito dell’assegnazione totale dei titoli in scadenza nell’ultima asta, come dire: visto?! Tanto rumore per nulla, i titoli sono stati tutti piazzati. Poveri sciocchi. Come sosteneva caustico Marcello Marchesi: la mamma dei cretini è sempre incinta!
Vediamo perché, seguendo un filo logico che ci permetta di analizzare complessivamente gli effetti dell’aumento dello “spread” nell’iter che va, come dire, dal “produttore” al “consumatore”.
( per i dati fonte: Banca d’Italia )
Il Debito ed il suo classamento –
Il debito italiano ammonta a circa 2.286 miliardi di euro ed è detenuto da:
° Investitori stranieri per il 32% ( 731 miliardi circa );
° Banca d’Italia per il 16% ( 366 miliardi circa );
° Fondi ed Assicurazioni per il 19% ( 435 miliardi circa );
° Banche per il 27% ( 617 miliardi circa);
° Italiani per il 6% ( 137 miliardi circa );
in buona sostanza il totale classato all’interno del Paese è pari al 68% ( 1.555 miliardi ).
Costo del Debito ed andamento dello “spread” –
A dati del 2017 il costo annuale per interessi sul debito ammontava ad oltre 68 miliardi di euro. Questo è quanto ha pagato lo Stato per finanziare il proprio debito: un importo che segue un “trend” che nel corso degli ultimi anni è stato sensibilmente decrescente, determinando quindi un minore onere per il servizio del debito ( interessi ).
Ciò è avvenuto in funzione delle politiche economiche considerate complessivamente improntate a prudenza dei conti e tali comunque da tenere lo “spread” ( ovvero il differenziale di interesse misurante il rischio Italia ) dei titoli di debito italiani, rispetto agli equivalenti a minor rischio: i “Bund” tedeschi, ad un livello piuttosto basso. Un effetto facilitato anche dalle operazioni di Qe – Quantitative easing ( acquisto di titoli degli Stati ed altre obbligazioni ) operato dalla BCE, che termineranno a Dicembre p.v., che hanno fatto da calmiere sui tassi di collocamento dei titoli, in virtù dell’aumento della liquidità immessa nel sistema europeo attraverso appunto il Qe.
Effetti dell’andamento dello “spread” –
Se il debito deve essere rifinanziato per i titoli giunti a scadenza, ci devono essere coloro che siano disposti ad acquistarli e a che prezzo.
La percezione sul rischio di restituzione di questo debito influisce pertanto sul prezzo richiesto ( il tasso di interesse ). Lo “spread” non fa altro che misurare la percezione di questo rischio da parte degli investitori.
Sino a fine aprile 2018 lo Stato ha rifinanziato il proprio debito in scadenza all’1,7%, con uno “spread” che fluttuava intorno ai 113,63 punti rispetto ai “Bund” tedeschi di pari durata (10 anni ). Lo “spread” si è via via impennato – per le ragioni, connesse alla nuova compagine governativa, che abbiamo in precedenza richiamato e di cui abbiamo analizzato in dettaglio le cause nel Post citato, a cui si rinvia – sino ai 285 punti del 30 agosto u.s.
Il classamento delle obbligazioni in scadenza ha costretto lo Stato a garantire un rendimento del 3,25%, un bel salto di 1,50 punti in più. L’Osservatorio sui conti pubblici presso l’Università Cattolica, diretto da Cottarelli, calcola i 5 miliardi di euro annuo l’aumento complessivo dell’onere per interessi sul Debito Pubblico, che quindi supererà i 73 miliardi di euro.
Tralasciando al momento, per l’intreccio più complesso, l’impatto su Fondi ed Assicurazioni analizzeremo gli effetti dell’aumento dello “spread” su Banche, Imprese e Cittadini ( famiglie ).
Effetti sulle banche – L’aumento dello “spread” si riflette principalmente, in prima battuta, sulle banche da tre direzioni diverse tutte con effetti di restrizione della liquidità:
1 – una parte della raccolta di liquidità avviene sui mercati ingrosso ad un costo ora superiore, perché cresciuto proporzionalmente rispetto all’aumento del rendimento dei BTP;
2 – l’aumento dello “spread” comporta un deprezzamento dei BTP in portafoglio ai precedenti rendimenti ( viene segnalato che il titolo all’1,7% è sceso da 102 a 90 ). Considerato che le rigide regole di contabilizzazione fanno riferimento al valore di mercato, le banche dovranno contabilizzare queste perdite di capitale;
3 – anche le obbligazioni che le banche emettono subiranno, quanto meno quelle di nuova emissione, un aumento del tasso di rendimento, cioè un aumento di costo.
I tre effetti vanno tutti, come detto, nella direzione di diminuire le disponibilità con conseguenze, quasi certe di restrizione ed aumento dei tassi nella concessione dei prestiti alle Imprese, aumento dei tassi sui nuovi mutui casa, sia per quelli a tasso fisso sia per quelli a tasso variabile ( quantomeno per la quota aggiuntiva all’Euribor), aumenti dei tassi sui prestiti personali e scoperti di conto corrente.
Effetti sulle Imprese – L’aumento dello “spread” si riflette sulle imprese in modo diretto ed indiretto. Diretto per le imprese che si finanziano anche emettendo “obbligazioni proprie”, per le quali dovranno ipotizzare tassi di rendimento ( quindi di costo ) più elevati rispetto alle precedenti emissioni. Indiretto perché subiranno l’aumento dei tassi sui prestiti bancari, oltre al rischio di una restrizione del credito da parte delle banche stesse.
Effetti sui Cittadini ( Famiglie )- I consumatori, Cittadini e Famiglie, quali ultimi anelli della catena subiranno “potenzialmente” i maggiori oneri correlati: all’aumento dei tassi sui mutui di nuova concessione ( per avere un’idea, è stato calcolato da Crif – Centrale Rischi Finanziari che un aumento di 100 punti base dello “spread” fa salire da 700 a 820 euro la rata mensile di un mutuo a 20 anni di 150 mila euro ), all’aumento del tasso sui Prestiti Personali e sugli Scoperti di conto corrente.
Come si vede, al di là delle banalizzazioni e delle sottovalutazioni, il regalo delle improvvide uscite del duo Salvini – Di Maio e delle loro dichiarazioni ammantate di dilettantismo ci ha, sin qui, regalato un bell’aumento dello “spread” che dal mercato si trasferisce in ultima istanza nelle tasche degli italiani.
Confidiamo che il contagio non si estenda a tutta l’economia: con aumenti generalizzati dei prezzi, riducendo i consumi, frenando le imprese ed evitando alle banche la necessità di aumenti di capitale.
Confidiamo che la Legge di Bilancio del Ministro dell’Economia Tria, come ha sottolineato nelle recenti dichiarazioni, sappia riportare un po’ di sereno.
Gli elettori acritici, che continuano a fare il tifo da stadio per la compagine che ci governa, hanno qualche elemento di riflessione su cui misurare ( l’in ) capacità, ( l’in ) competenza e serietà degli attuali governanti. Intanto, insieme a tutti gli altri italiani, cominciano a pagare di tasca i maggiori oneri in sostituzione di “flat tax” e “reddito di cittadinanza”. Adesso non possono dire di non sapere chi ringraziare.
Gianni Pernarella
Laurea in Giurisprudenza conseguita a Pisa e studi post laurea in Economia. Dipendente del Banco di sardegna dal 1973 al 2003. Dopo esperienza pluriennale di filiale, assume nel 1990 ruoli di responsabilità nella struttura centrale “Organizzazione e Sistemi Informativi” dove, in veste di funzionario capo progetto, ha gestito oltre 10 progetti organizzativi e relativi a sistemi informativi. Collaboratore per oltre 6 anni del SIL – PTO di Oristano; ha scritto quattro libri sulla materia del credito e dell'economia provinciale oristanese relativa all'artigianato.