Fino alla prima metà del “˜900, la donna assumeva valore solo se si rivelava abile nel lavorare nei campi e se riusciva a mettere al mondo più figli. Negli ambienti rurali, infatti, la famiglia costituiva un’opportunità per aumentare la disponibilità di manodopera.
Durante il periodo fascista, si misero in atto delle politiche finalizzate a incidere sulla struttura delle famiglie, in modo da favorire la crescita della popolazione, avere forza lavoro, eserciti più consistenti e, di conseguenza, una Nazione più forte.
La politica demografica fu, per il duce, una colonna portante del proprio operato. Considerava le città luoghi in cui costumi e morale subivano delle gravi alterazioni e cercò in tutti i modi di promuovere la vita di campagna. Relegare uomini e donne a quell’ambiente, significava tenerli in una condizione di minore emancipazione e di più facile controllo e sottomissione.
Sia l’uomo che la donna non furono più considerati individui in quanto tali ma furono valutati in base alla propria capacità produttiva e riproduttiva. La famiglia fu spogliata della sua funzione privata, per divenire mezzo atto a potenziare la Nazione e strumento di edificazione dello Stato totalitario.
A pagare maggiormente le spese di questa evoluzione furono le donne, indotte a tornare a un stile di vita tradizionale. Attraverso il potenziamento dei Fasci Femminili, che contavano un numero considerevole di iscritte, furono costrette a mansioni legate alla sola propaganda, alle attività assistenziali e, soprattutto, alla cura della casa e della famiglia, confinate ai loro ruoli di mogli e madri.
Nessuna iniziativa libera a livello sociale e politico, lo Statuto dei Fasci Femminili, era molto chiaro in proposito: “La donna fascista eviterà, quando non sia richiesto da un’assoluta necessità, di assumere atteggiamenti maschili e di invadere il campo dell’azione maschile, perché sa che la donna può molto più giovare all’ideale per cui lavora se cerca di sviluppare in bene le sue attitudini femminili, anziché cimentarsi nel campo dell’azione maschile, dove riuscirebbe sempre imperfetta e non riscuoterebbe la fiducia necessaria allo svolgimento della sua propaganda.”
Una netta inversione di tendenza rispetto a quanto accadde durante gli anni della Prima guerra mondiale, in cui le donne lavorarono strenuamente sia nei campi che nell’industria, compresa quella bellica, ricoprendo anche ruoli di rilievo, fino ad allora ritenuti solo maschili.
Con l’avvento del Fascismo, la vita femminile fu condizionata solo ed esclusivamente dagli interessi statali.
Nel contempo, fu imposta una tassa sul celibato che avrebbe contribuito a sostenere le famiglie numerose. Fu prevista una priorità d’assunzione per gli sposati, furono elargiti assegni familiari e sussidi che indussero le donne a fare più figli. Divenute ormai semplici fattrici, gran parte delle italiane del tempo subirono una notevole riduzione della propria libertà e la repressione delle proprie ambizioni personali.
Oggi la riduzione del numero dei figli è legata anche al processo di emancipazione femminile e a una ridefinizione della figura della donna, non più incapsulata nel solo ruolo di angelo del focolare.
Quando sento parlare di politiche demografiche che si basano sulla concessione di un terreno e non su agevolazioni che alleggeriscano le spese che una famiglia sostiene per la crescita di un figlio e, soprattutto, quando non si accenna a politiche attive che riguardino l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, affinché possano avere figli con maggiore serenità, non posso che avere un sussulto nel ricordare che la Storia, spesso, tende a ripetersi.
Tutti noi dipendiamo dalle scelte politiche attuate in passato, da un trascorso che non possiamo ignorare.
Il calo demografico preoccupa per le conseguenze economiche e sociali che porta con sé e rappresenta un problema che, certamente, deve essere affrontato. Ma il ritorno alla terra e alla donna che, nel suo contributo all’aumento delle nascite, diviene”cardine della rinascita della nazione italica“, non credo siano le misure più adatte da adottare per intraprendere quel percorso.
Come sempre più spesso accade a questo Governo, non è il principio che muove le sue idee a essere sbagliato ma il metodo che utilizza per realizzarle. Ed è proprio questo che fa la differenza. Sempre.
Elisa Dettori