Non se ne può più delle dichiarazioni giornaliere dei nostri due ministri che attaccano l’Unione Europea come fosse un’unica entità occupata ad affossare, costi quel che costi, l’esperienza del governo gialloverde.
Secondo loro, però, questa situazione non durerà a lungo; hanno dichiarato infatti:
“questa Europa qui tra sei mesi è finita. Tra sei mesi ci sono le elezioni europee e così come c’è stato un terremoto politico in Italia il 4 marzo, ci sarà un terremoto politico alle elezioni europee di maggio”.
Ma ci sarà davvero questo terremoto politico? E, ammesso che ci fosse, la situazione dell’Italia sarebbe migliore?
Per farsi un’idea su questi due quesiti bisogna innanzitutto considerare che i poteri nell'Unione Europea sono esercitati dalla Commissione, dal Parlamento e dal Consiglio.
La Commissione ha un potere esecutivo, emana regolamenti, direttive e decisioni necessarie per l'applicazione delle leggi. Il presidente viene nominato dal Consiglio Europeo, previa consultazione del presidente del Parlamento Europeo. I membri vengono designati dal nuovo Presidente della Commissione. La Commissione e il suo programma devono poi essere approvati dal Parlamento Europeo.
Il Parlamento Europeo esercita il potere legislativo insieme con il Consiglio Europeo che corrisponde al Consiglio dei capi di stato; emanano insieme leggi ordinarie, organiche e di bilancio. Il Parlamento Europeo approva l'investitura della Commissione, il bilancio dell'Unione e la ratifica dei trattati.
Il Consiglio Europeo, organo permanente costituito dai capi di stato e di governo più il Presidente della Commissione, ha un potere decisionale duplice (esecutivo e legislativo).
È bene tenere presente questa ripartizione di poteri per capire cosa potrebbe succedere dopo le elezioni europee.
Il vero potere non sta nella Commissione e nel Parlamento, ma nel Consiglio dell’unione, cioè nei capi di stato. È il Consiglio europeo che nomina il residente della Commissione il quale designa i componenti della Commissione. Il Presidente del Parlamento viene consultato sulla nomina del Presidente della Commissione e il Parlamento approva l’investitura della Commissione.
Un vero terremoto politico presuppone quindi un cambiamento simultaneo del Parlamento e del Consiglio, cosa impossibile perché la maggior parte dei 27 paesi europei hanno già svolto le elezioni politiche nazionali.
È indubitabile che i partiti populisti e sovranisti potrebbero aumentare i loro voti, ma non in maniera tale da stravolgere il quadro politico esistente.
Ma ammettiamo, per pura ipotesi, che i partiti populisti e sovranisti ottengano la maggioranza nel Parlamento europeo e nel Consiglio dell’Unione; questo significherebbe che le cose andrebbero meglio per l’Italia?
C’è oggi qualche paese dell’Unione europea che condivide o potrebbe condividere in futuro le posizioni del governo gialloverde?
Una cosa è certa; se ogni nazione è sovrana e gli interessi nazionali vengono prima di tutto, il metro di giudizio deve partire dagli interessi dei singoli paesi dell’Unione.
A chi conviene far parte dell’Unione europea?
Sicuramente ai 17 paesi che ricevono più di quanto versano all’Unione europea.
I 17 paesi che hanno un saldo attivo sono Belgio, Bulgaria, Croazia, Estonia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ungheria.
Di seguito la situazione precisa di alcuni di questi paesi.
La Polonia con 13.357,4 milioni di Euro acquisiti (a fronte di un contributo di 3.718,0 milioni di Euro) è il Paese che più ha guadagnato dai fondi Europei.
La Grecia, con 6.209,7 milioni di Euro ricevuti contro i 1.205,6 milioni di contributo, ha un saldo attivo di 5004,1 milioni di euro e questo, almeno in parte spiega il motivo per cui Atene, dopo tante rimostranze e minacce, non è mai uscita dall’Europa. Seguono la Romania (5.218,6 milioni di Euro di saldo attivo), la Spagna (+4.923,2 milioni), l’Ungheria (+4.683,3 milioni), Slovacchia (+3.126,9 milioni), Repubblica Ceca (+3.062 milioni) e Bulgaria(+2.305,4 milioni).
Sono i paesi dell’Est che ricevono più di quanto versano.
Da notare che questi Stati sono anche quelli i cui governi si oppongono con maggiore veemenza alle politiche europee sui rifugiati (in particolare (Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Bulgaria) e sulla protezione ambientale.
È molto difficile, se non impossibile, che questi paesi mettano in discussione le politiche europee tanto più che, nei due prossimi anni, bisogna approvare il bilancio europeo 2021-2027 e hanno quindi bisogno che gli equilibri di bilancio non mutino perché il loro sviluppo dipende in gran parte dalle risorse europee.
In presenza di una chiusura verso l’Italia di questi 17 paesi, la sponda per il nostro paese potrebbe esserci nei paesi che invece versano più di quanto ricevono?
Dopo la Brexit sono 10 i membri del blocco europeo contribuenti netti al bilancio: Germania, Francia, Italia, Olanda, Austria, Finlandia, Svezia, Lussemburgo, Danimarca, Cipro.
I principali donatori in termini assoluti sono Germania (24.283,4 milioni di Euro), Francia (19.012,5.) e Italia (14.231,6). A queste tre nazioni seguono Paesi Bassi (5.759,2 ml), Svezia (3.513,3 ml).
Gli stessi Stati che primeggiano nella classifica dei contributori sono quelli che in proporzione ricevono meno fondi comunitari. La Germania è la nazione che ha un saldo negativo più accentuato: -13.270,1 milioni di Euro. Segue la Francia (-4.544,1 milioni). L’Italia, con un saldo negativo di 1.893,1 milioni di Euro, si pone dopo Paesi meno popolosi come i Paesi Bassi (-3.400 milioni €) e la Svezia (-2.045,6 milioni €).
Nessuno di questi paesi ha intenzione di mettere in discussione le regole finanziarie dell’unione europea perché, vi sono vantaggi non solo per chi riceve, ma anche per chi versa di più.
È sbagliato, infatti, calcolare i benefici dell’appartenenza all’Europa solo sulla base del rapporto dare/avere.
I vantaggi di essere all’interno della Comunità Europea si devono quantificare anche con gli introiti che gli stati ricevono oltre agli apporti finanziari diretti provenienti da Bruxelles.
L’abbattimento dei dazi doganali, la facilità di viaggiare all’interno degli stati della Comunità, la velocità di trasferimenti di persone e di merci, l’assenza di frontiere e di cambi monetari all’interno dell’area Euro, gli interventi collettivi da parte degli stati per progetti di ricerca apportano alle casse di ogni stato milioni o miliardi di Euro (a secondo del PIL nazionale) che non sono conteggiati come apporti diretti comunitari, ma che sono frutto delle politiche comunitarie.
Conviene anche per i benefici che comporta la partecipazione al mercato unico. E' quanto emerge incrociando i dati della Commissione Ue e dell'Ifo Institute.
” Il mercato unico ha un impatto positivo significativo e diretto sull'occupazione e la crescita. Permette alle aziende di operare in modo più efficiente, crea lavoro e offre prezzi più bassi per i consumatori. Dà alle persone la libertà di vivere, studiare e lavorare dove vogliono”.
I ricercatori dell'Ifo Institute hanno dato un “valore” a questi benefici, scoprendo che più si “investe” nell'Ue, più si guadagna. Vale per la Germania, che incassa 118 miliardi dal mercato unico, la Francia ne incassa 62, il Regno Unito 55, l'Olanda 45 miliardi, l'Italia si piazza al quinto posto per benefici: 40 miliardi circa all'anno, seguito dal Belgio 30.
Il risultato delle politiche populiste e sovraniste, quindi, non sarebbe un allentamento delle politiche di austerity, ma il rafforzamento del mercato unico con la libera circolazione delle merci e dei capitali e, allo stesso tempo, la limitazione alla libera circolazione delle persone e la rinuncia a comuni politiche del lavoro e dello stato sociale.
L’esatto contrario delle politiche di solidarietà che si dice di voler perseguire.
Antonio Ladu
Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.