di Giampiero Vargiu
Sono stato spinto a scrivere questo pezzo da quanto riportato nella pagina facebook di Luciano Floridi dal titolo “I sentieri della filosofia”.
Floridi, per introdurre il post (baci … perugina), ricorda la tecnica di Luisa Spagnoli, quando nel lontano 1922, con la collaborazione di Giovanni Buitoni e del pittore, grafico, pubblicitario e direttore artistico della Perugina Federico Seneca, lanciò i baci perugina, con all’interno dell’involucro esterno un bigliettino, nel quale venivano inserite frasi, piccoli messaggi, stornelli popolari. Credo che Floridi la usi in maniera ironica nei confronti del pensiero di Umberto Galimberti in merito alla Scuola.
In esso, Umberto Galimberti scrive in merito alla Scuola “L’insegnante deve insegnare. Per farlo serve una capacità empatica e comunicativa, la fascinazione. Se non apri il cuore, non apri nemmeno la testa delle persone. Gli insegnanti dovrebbero essere sottoposti a un test di personalità che valuti queste cose. Se uno non sa affascinare è meglio che cambi lavoro […] Educare vuol dire condurre qualcuno all’evoluzione, dall’impulso all’emozione, dall’emozione al sentimento. Un ragazzo che ha sentimento non brucia un migrante che dorme su una panchina, non picchia un disabile. Se queste cose accadono è perché la scuola non ha educato. Per educare bisogna avere a che fare con la soggettività degli studenti, che oggi è messa fuori gioco. Se è vero che al posto dei temi si fa la comprensione del testo scritto, si è spostata la valutazione dalla soggettività alla prestazione. A questo punto è chiaro che anche la scuola è serva del modello tecnico. I ragazzi non contano più come soggetti ma solo nelle loro prestazioni. È più facile correggere una comprensione del testo scritta che un tema. La realtà è che siamo passati da una scuola umanistica a un’educazione anglosassone, perdendo un’infinità di valori della prima. La scuola anglosassone è empirismo, pragmatismo, valutazione oggettiva […] Se uno non sa affascinare, comunicare, non può fare il maestro, il professore. Lo dice Platone: si impara per imitazione. Io aggiungerei anche per plagio. Preferisco un docente che plagia i ragazzi che uno che li demotiva. Direi loro che il ruolo va abolito. Se uno non funziona lo sanno tutti ma non si può far nulla, perché è di ruolo. Che cos’è questa parola? Nessuno è di ruolo nella vita. Se un docente non è all’altezza va messo fuori gioco. Perché se si licenziano operai là dove si producono oggetti non lo si fa dove si formano le persone?”
Quanto scritto da Galimberti mi ricorda, seppure i punti di vista espressi sono profondamente diversi, il film ”L’attimo fuggente”, del regista Peter Weir, il cui personaggio principale prof. Keating era impersonato da Robin Williams. Il film cita tante frasi, divenute di uso corrente, come “O capitano! Mio capitano!” tratte da una poesia di Walt Whitman (poeta americano nato il 31 maggio 1819 e scomparso il 26 marzo 1892), che la scrisse dopo la notizia che era stata data la notizia che Abraham Lincoln era stato assassinato.
Sul film di Weir è stato detto tutto e il contrario di tutto.
Piergiorgio Paterlini scrive con il pezzo “Fuggi l’attimo” sul blog minima&moralia (4 settembre 2014) “L’attimo fuggente di Peter Weir – Panorama lo dava in testa alle classifiche ancora a fine febbraio, con oltre due milioni di spettatori in poco meno di cinquemila giorni di presenza; poi ho perso il conto – non solo è un brutto film, un film che, dal punto di vista espressivo, scambia retorico con romantico, confonde tritissima melensaggine con commozione; ma è – sul piano che più ha impressionato, quello del rapporto professore-studenti, adulto-ragazzi – un film profondamente autoritario. Eppure, è stato vissuto dal pubblico, da migliaia di ragazzi, panterini e no, come un classico della “rivolta”, un film dalla loro parte, strumento e rappresentazione insieme di autoemancipazione scolastica ed esistenziale. Come è possibile? E cosa può significare questo tremendo abbaglio di massa, propiziato con dovizia dagli adulti e dai critici, praticamente senza eccezioni?”
Con “L’attimo fuggente: il significato del film con Robin Williams”, Eleonora Degrassi, sul sito Cinematographe.it (8 agosto 2019), scrive “L’attimo fuggente” porta al centro temi profondi, riflessioni intime sul tempo che passa, sulla scoperta di sé, sulla capacità di guardare il mondo, le situazioni, sè stessi da altre angolazioni. La storia del professor Keating e dei suoi ragazzi è un cult per molti, per chi è giovane e per chi lo è stato; l’uomo insegna ai suoi allievi ad avere un pensiero speciale, il proprio, un pensiero di rottura che si scontra con quello degli altri, della società ancora conservativa degli anni ’60. Keating è il professore che tutti vorrebbero avere, la poesia grazie ai suoi metodi anticonformisti (la prima volta che vede i suoi studenti li porta di fronte alle foto di vecchie classi e li invita a vivere la vita quando è il momento, citando il “carpe diem” oraziano, poi li invita a strappare le pagine del libro di testo perché non esistono classifiche, regole fisse per comprendere il valore di un artista), arriva al cuore dei ragazzi, si fa amare da loro e fa amare loro la poesia. Keats, Whitman, Shakespeare diventano nuovi amici, scontrandosi con la disciplina e gli insegnamenti rigorosi del college. Todd, Neil, Charlie, Knox, Meeks e gli altri riscoprono un nuovo entusiasmo per la poesia, l’arte e la letteratura e, grazie alle parole, ai versi, e al nuovo mentore si sentiranno protetti ma anche liberi di affrontare la loro guerra per crescere e (ri)trovarsi.”
Da sempre sento parlare di riforma della Scuola. Tutti si cimentano in questa sfida, ma sembra di essere sempre punto e a capo. Quello che è successo con la Didattica a Distanza (DAD) è sotto gli occhi di tutti e, anche in questo caso, le posizioni nel merito sono fortemente contrapposte.
Come scrive Pietro Savastio con “Invertire il discorso pubblico sulla scuola” su minima&moralia (9 dicembre 2021) “Da un canto si tende a vedere nel digitale un grande nemico, l’ultimo colpo di grazia per destrutturare una scuola sempre più assediata da un mondo esterno fatto di rapidità, approssimazione, intrattenimento e consumo. D’altro canto, si considera il digitale una panacea per tutti i mali, capace di portare la nostra scuola vecchia e stantia in un futuro radioso e competitivo, moderno e fulgido. È evidente come di fronte a simili banalizzazioni e polarizzazioni il grande assente sia la modalità d’impiego, il discorso pedagogico e formativo, la quantità di tempo da destinare a tali strumenti in un ventaglio ampio di tecniche didattiche. “Quale uso della tecnologia?” è la domanda mancante.”
Come già scritto, ancora prima della pandemia da coronavirus, l’Associazione di Promozione Sociale Oristano e Oltre ha dato molta importanza alla Scuola attraverso la pubblicazione di vari pezzi sul proprio sito web e con due videoconferenze. Una realizzata con i responsabili per la Scuola della Provincia di Oristano della CGIL, della CISL e della UIL e una seconda con il Dirigente scolastico del Liceo Classico De Castro Pino Tilocca e con l’Insegnante Caterina Pes. In quest’ultima occasione sono stati messi in evidenza i problemi ulteriori creati dalla pandemia da coronavirus, ancora oggi nel pieno della sua evoluzione, anche se i vaccini sembrano farci vedere la luce in fondo al tunnel.
La scuola è un “Sistema Complesso”, che merita ben di più delle banalizzazioni che circolano in proposito.
Nel PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ci sono ingenti risorse su Istruzione e Ricerca (28,49 miliardi, circa il 13% del totale). La questione delle risorse è certamente importante, ma è evidente che occorre un ripensamento complessivo della forma scolastica.
Come scrive su minima&moralia Pietro Savastio “Oltre a quella delle risorse, esiste una dimensione altrettanto importante se non prioritaria sulle modalità, le forme, i tempi della didattica, in un ripensamento globale della forma scolastica che possa produrre un cambiamento di direzione che lasci un segno. …….. Il richiamo a un maggiore investimento (non solo economico ma anche culturale) è, dunque, doveroso, ma merita di essere accompagnato da una più seria richiesta di ripensamento del sistema – scuola e del sistema educativo nel suo complesso.”
In questo ragionamento è racchiuso il significato della domanda che ho posto durante ConnEtica 2021 a Francesco Indovina : “In una Società che spinge sempre di più verso una Scuola che punta sulle discipline STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), che oggettivizza sempre di più le persone, con l’obiettivo di renderle più competenti (stessa radice di competizione), più efficienti, orientandone la formazione quasi esclusivamente al lavoro, nella Società dell’Infosfera,
delle innovazioni tecnologiche legate al digitale (intelligenza artificiale, algoritmi, robotica, internet delle cose, big data, realtà aumentata) non ritiene sia utile rimettere al centro della formazione le persone, la soggettività e, di conseguenza, le materie umanistiche (la poesia, la letteratura, la filosofia, la storia, le arti, la musica), che sono le discipline in grado di sviluppare il senso critico, la capacità di autodeterminarsi, l’autonomia di pensiero, la creatività?” La risposta di Francesco Indovina è stata positiva e in accordo con quanto scrive Pietro Savastio “Lo studente non può più essere un consumatore di saperi, ma deve diventare un produttore di cultura e di domande. ….. Se abbandoniamo per un momento le ossessioni sulle conoscenze, possiamo concepire l’educazione come una pratica interrogativa sul sé, sul mondo, sulle arti, sulle scienze. Una pratica che lascia spazio alla curiosità, all’interesse, alla gioia e al gusto di imparare, perché riconosce un ruolo attivo agli studenti, offrendo occasioni e metodi di ricerca. Non nel disprezzo dei saperi, ma nel rispetto degli allievi e della loro natura. Altrimenti, finchè le ragioni di quello che si fa in classe resteranno estranee, finchè tutto sarà deciso da qualcun altro, lo studente si sentirà un congegno passivo di una macchina che non ha in nulla conto della sua soggettività. Non potrà così né creare, né decidere, ma solo accettare passivamente.”
Inoltre, “Quale uso creativo possiamo fare della Scuola affinchè essa diventi un laboratorio per una società veramente democratica? L’obiettivo è rendere gli studenti dei soggetti, farli uscire da quello stato di minorità in cui li costringiamo a essere sudditi anziché cittadini, governati anziché (auto)governati.”
Una sfida che può diventare decisiva per le sorti dell’Umanità, in particolare, se si riuscirà a trovare il giusto equilibrio e si ridarà veramente la centralità che spetta alla Scuola nella società complessa di oggi.