L’articolo 5 del Decreto sul RdC prevede che l’erogazione del beneficio del RdC è condizionata sia alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti i il nucleo familiare maggiorenni, sia all’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale.

Non credo vi possa essere qualcuno che non condivida questi obiettivi la cui finalità è non solo sostenere il reddito delle persone in astato di bisogno, ma anche di accompagnarle all’uscita dalla povertà attraverso il lavoro e l’inclusione sociale.

Il problema è di capire quanto e come questi obiettivi saranno raggiunti.

Subito un’osservazione preliminare.

Se si legge con un po’ di attenzione l’articolo 5 del Decreto, il cui oggetto è il patto per il lavoro e l’inclusione sociale, si vedrà che i decreti legislativi 147 e 150 (riguardanti le politiche attive del lavoro e il Rei), costituiscono l’impianto dell’articolo 5.

Una corretta azione di Governo sarebbe dovuta partire da una valutazione dello stato di attuazione di questi due decreti legislativi, per valorizzarne i risultati positivi e modificarne quelli negativi. In questo modo si sarebbe guadagnato molto tempo per snellire i procedimenti attuativi del RdC.

Non lo si è voluto fare perché ciò avrebbe significato riconoscere che le politiche attive del lavoro e di contrasto alla povertà sono state iniziate dai Governi precedenti, mentre si ripete continuamente che queste politiche sono iniziate con l’attuale Governo.

È vero comunque che il Decreto sul RdC ha aumentato le risorse disponibili e ha allargato la platea dei beneficiari; sarebbe sbagliato npn riconoscerlo.

Fatta questa osservazione preliminare, vi è da dire che la difficoltà di raggiungere gli obiettivi previsti dal Decreto dipendono dai problemi relativi alle risorse,, al personale e alla governance.

Rimandando ad analisi più approfondite le questioni relative alle risorse, al personale e alla governace, vorrei porre alcune questioni più generali.

Sarà raggiunto l’obiettivo di eliminare la povertà?

Sicuramente no. Secondo la stessa relazione del Governo che accompagna il Decreto, i beneficiari saranno circa1.300.000 famiglie mentre, secondo l’Istat, il numero dei nuclei familiari sotto la soglia di povertà è di 1.800.000 e quello dei singoli nuclei di 5 milioni.

Non avranno quindi il RdC circa 500.000 nuclei familiari e un milione di persone.

Il lavoro è sicuramente ilo strumento più importante per uscire dalla povertà. Da ciò la domanda: quanta e quale occupazione verrà creata?

Perché ci sia una risposta positiva sono necessari numerosi fattori: uno sviluppo che crei posti di lavoro, l’incontro tra domanda e offerta, una formazione adeguata, dei servizi efficienti pubblici e privati,

La situazione relativa al mercato del lavoro in Italia non è certo confortante: basti pensare al fatto che il paese è in recessione tecnica e alle dimensioni della disoccupazione giovanile e femminile, specie nel Mezzogiorno.

Come contribuirà il RdC a creare occasioni di lavoro? Quanti di coloro che riceveranno il RdC potranno contare su un’offerta di lavoro congrua?

Il Decreto insiste sul fatto che il beneficiario del RdC deve accettare una delle tre offerte di lavoro congrue se non vuole perdere il beneficio del RdC, ma il problema principale sarà un altro: quante offerte di lavoro congruo ci saranno?

Le offerte di lavoro vengono dagli imprenditori. È Vero che ci sono gli incentivi ma, quando si tratta di assumere a tempo indeterminato, le aziende puntano sempre più su persone qualificate e specializzate che difficilmente saranno nella platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza.

Inoltre quando le offerte di lavoro possono essere considerate congrue tenuto conto che bisogna accettare offerte di lavoro a 100, 250 km e in tutta Italia anche se l’offerta di lavoro non è a tempo indeterminato e magari con retribuzioni pari al RdC percepito?

Le difficoltà relative al Patto per l’inclusione sociale saranno ancora maggiori di quelle relative al Patto per il lavoro.

Sicuramente interesseranno una platea ancora giù numerosa.

Si valuta che, su circa 4 milioni di potenziali beneficiari del RdC, 1,7 milioni sarebbero per diverse ragioni non in condizione di lavorare.

Il Patto per l’inclusione richiederà una grande serie di adempimenti che andranno dalla chiamata dei beneficiari alla valutazione preliminare e multidimensionale, alla redazione del patto per l’inclusione, alla fornitura dei servizi necessari

Inoltre tutte le competenze relative all’inclusione sociale sono delle regioni e degli enti locali.

Con quale personale e quali risorse?

Il Governo parla di 10.000 assunzioni, 6000 delle quali andrebbero all’Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive) e 4.000 alle regioni per potenziare i Centri per l’impiego.

Non sono previste quindi nuove assunzioni per l’inclusione sociale, né sono previste nuove risorse.

Il rischio anzi è che i livelli delle prestazioni saranno inferiori alla situazione attuale in quanto gli attuali assunti a tempo determinato rischiano di non avere più un’occupazione alla fine del 2019, in quanto non vi sono risorse né per la riassunzione, né tantomeno per la loro stabilizzazione.

È auspicabile che, in sede di conversione del Decreto il Legge, si possano affrontare e risolvere alcuni dei problemi sollevati.

Antonio Ladu

Laureato alla Bocconi di Milano in Lingua e Letterature straniere, è stato assistente di Italiano al Liceo Jeanson de Sailly a Parigi. Sindacalista nella Camera del Lavoro di Oristano e nella Segreteria regionale della Cgil. È stato inoltre presidente del Consorzio Industriale e del Sil-Patto territoriale di Oristano.