Dovendo trattare del sistema della medicina tradizionale in Sardegna, ritengo opportuno porre ctome premessa necessaria a questo argomento una descrizione sintetica degli aspetti della società agropastorale sarda, per inserire nel giusto contesto storico e culturale un fenomeno di cui si rischia di non capire appieno la natura e la funzione.
La società agropastorale si caratterizza per una economia di sussistenza, per cui per la sua sopravvivenza aveva un’importanza fondamentale il principio di solidarietà, che costituiva una sorta di regola non scritta e tuttavia vissuta come un obbligo, a cui ogni individuo doveva assolvere a seconda della proprie possibilità. E l’esercizio della solidarietà consolidava in ciascuno il senso di appartenenza alla propria comunità, che costituiva il microcosmo all’interno del quale si svolgeva tutto il percorso di vita di ciascun individuo.
È’ all’interno di questo contesto economico, sociale e culturale che va inquadrato il sistema della medicina tradizionale in Sardegna.
Attraverso un’analisi approfondita è possibile individuare la struttura, le regole, i saperi e le dinamiche interne di questo sistema. Nella struttura rientrano i luoghi di pertinenza della pratica terapeutica; i guaritori; l’insieme degli elementi e degli oggetti utili per praticare la cura, per la quale non vi erano luoghi deputati e allo stesso tempo ogni luogo era adatto.
Per quanto riguarda l’organizzazione dei guaritori, va detto subito che non vi era una loro gerarchia istituzionale, determinata da un qualche organismo che avesse competenze in tal senso. Tuttavia una forma di gerarchia esisteva e a determinarla erano i singoli individui in società col loro giudizio sugli esiti positivi o negativi di chi si proponeva come guaritore.
Nella considerazione della comunità i guaritori erano collocati su livelli diversi, a seconda della gravità della patologia che curavano, dalle forme influenzali leggere alla sciatica, al fuoco di sant’Antonio, alla scrofolosi, fino a isfrommigheddas (epitelioma spinocellulare).
Sempre nell’ambito della struttura particolarmente ricca di significati è la modalità attraverso la quale la comunità agropastorale provvedeva all’acquisizione di tutti gli elementi necessari per effettua le diverse patologie. Da un’analisi approfondita di questo particolare aspetto, emerge che tutti gli elementi necessari per la cura erano sparsi nel contesto della comunità che li gestiva, al punto che si può parlare di una vera e propria farmacia collettiva, a cui ogni individuo poteva dare il suo contributo, mettendo a disposizione della comunità eventuali elementi necessari per la cura, a seconda di quanto gli permetteva la sua condizione.
I guaritori, quale che fosse il livello di appartenenza, operavano secondo regole non scritte, ma conosciute e condivise dall’intera comunità. Una delle condizioni fondamentali per assumere il ruolo di guaritore era il riconoscimento da parte del gruppo, che si otteneva esclusivamente in seguito al succedersi di esiti positivi nell’esercizio di una determinata pratica terapeutica.
L’acquisizione di una determinata competenza per tradizione di famiglia non era una regola fissa e puntuale. Spesso la trasmissione all’interno della famiglia non si verificava, perché nel nucleo familiare non vi era la persona adatta per recepire tale competenza.
Nell’ambito delle regole aveva un’importanza fondamentale il principio che voleva che le prestazioni dei guaritori fossero assolutamente gratuite. La richiesta di una qualche forma di compenso avrebbe reso inefficace lo stesso intervento terapeutico.
Il comportamento particolare per effettuare la diagnosi. Avveniva nell’ambito della famiglia per le patologie considerate minori. Per le patologie per le quali non c’era la competenza all’interno della famiglia, si parlava della malattia in tutti quelli che erano luoghi di relazione (alla fontana, al mulino, al fiume, al botteghino di generi alimentari ecc..).questo parlare in quei luoghi costituiva di fatto una vera e propria attività di ricerca, finalizzata a risolvere quella determinata patologia.
Rispetto alle modalità di svolgimento di questo processo, la consuetudine di parlare della malattia era un modo per coinvolgere il gruppo di appartenenza nello sforzo di superamento di uno stato critico più o meno grave quale poteva essere la malattia. E il coinvolgimento del gruppo aveva la sua ragion d’essere profonda in quel principio di solidarietà che costituiva una delle peculiarità più significative della società agropastorale.
Per quanto riguarda il sapere medico della società agropastorale, dai materiali raccolti nel corso delle ricerche, appare evidente come in esso persista un intreccio continuo di elementi propri della cultura magico-religiosa tradizionale con elementi provenienti dalla medicina culta di ogni tempo, a partire dagli egizi per continuare con Ippocrate, Dioscoride, Celso, Plinio, Galeno, la Scuola Salernitanam fino alle farmacopee del milleottocento.
Nando Cossu
Laureato in Storia e Filosofia all’Università di Cagliari, ha conseguito il diploma di Specializzazione in Studi Sardi con una tesi sulla medicina popolare in Sardegna. La medicina popolare e la cultura materiale dell’isola hanno costituito l’ambito principale della sua ricerca. Insegnante e dirigente scolastico, ha curato per la comunità Arci-Grighine la sezione del Piano di sviluppo socio-economico dedicata alle tradizioni popolari e alla cultura popolare e si è dedicato all’allestimento e alla cura del Museo del giocattolo di Ales. Per quanto concerne la medicina popolare, oltre a vari articoli, ha pubblicato il volume “Medicina popolare in Sardegna. Dinamiche, operatori, pratiche empiriche e magiche”, Carlo Delfino Editore, Sassari, 1996 (presentazione di Enrica Delitala) e “A luna calante. Vitalitàe prospettive della medicina tradizionale in Sardegna “, Argo, Lecce, 2005 (presentazione di Giulio Angioni). L’ultima pubblicazione è stata “L’amore negli occhi. ” Rapporti fra i sessi e formazione della coppia nella società agropastorale sarda “, Carlo Delfino Editore, Sassari, 2014.