La privacy è anche un bel trucco per tenere alla larga genitori e studenti. Però ci vuole, come tutto il listone infinito di proibizioni che ogni anno si allunga un po’ per evitare preventivamente grane e denunce, e che fa dei regolamenti di istituto un protocollo carcerario, se ve lo leggete ogni tanto come un documento della storia della pedagogia. Condividere il proprio numero di telefono con gli studenti, avere il loro, è stato necessario per mettere in piedi a inizio marzo 2020 quella che per un mese abbiamo chiamato DAD, Didattica A Distanza. Nessun dirigente scolastico ha potuto incoraggiare questo avvicinamento e la violazione delle tutele preventive, ma nessun dirigente scolastico ha impedito un’azione necessaria. L’unica che ne abbia abusato è stata Aziza, che ha provato ad applicare a tu per tu la sua personalità incattivita e la sua ideologia apatica e anaffettiva. Voleva provare a fare quello che in classe non le riusciva: diventare il focus delle mie attenzioni, dominare la classe con le sue scenate isteriche e aggressive. Prima ha provato a bacchettarmi sul gruppo WhatsApp di classe con genitori, docenti e studenti che ho costruito, rimproverandomi di postare informazioni di storia contemporanea sulla pandemia. Così dopo tre alert l’ho espulsa dal gruppo. Poi le ho chiesto in privato delle scuse private, che lei ha definito sarcasticamente “uno scherzo” cui non si sarebbe prestata, così l’ho bloccata. Poi ha provato a interrompermi spudoratamente in videolezione violando le regole (scrivere “prof” sulla chat di Meet per avere da me la parola appena possibile), così l’ho buttata fuori dalla videolezione. Poi ha cominciato a non consegnarmi più il diario che ho chiesto a tutti: “I giorni del virus: intorno a me, in casa con me, dentro di me”. Quando ha visto che la sua media era crollata sotto il 6 si è data una calmata.

Ho bloccato anche un genitore, artigiano della filiera alimentare, perché gli ho comunicato con un messaggio privato che il suo figliolo ripetente aveva scritto in chat Meet S T U P R O nel momento in cui stavo cercando di far percepire ai ragazzi quanto era stato doloroso in passato per tanti morenti delle pandemie storiche soffrire e spegnersi senza neanche il conforto di una telefonata o di una videochat in fin di vita; l’artigiano della villania mi ha telefonato aggredendomi a male parole, URLANDOMI che era «stufo delle persecuzioni cui sottoponevo ormai da tempo» suo figlio, e che la parola stupro «oggi non è poi così grave» e BLA BLA BLA (sempre urlando); l’ho congedato e l’ho bloccato in rubrica. Dopo dieci minuti suo figlio mi ha scritto, si è scusato, e mi ha spiegato che voleva dire che magari senza il conforto di internet la gente si degradava a bassezze tipo lo stupro; ho ringraziato Daniele per il chiarimento, gli ho spiegato che la parola S T U P R O ad acronimo verticale era sospetta e certamente fuori mood, e la mattina dopo era educato e attento in videolezione, nonostante abbia un padre del genere.

Gli altri si sono tutti comportati impeccabilmente. Almeno, in privato. Come ho loro restituito durante le videolezioni quotidiane, il nostro comportamento sui gruppi WhatsApp (tutti, adulti e minorenni, laureati e analfabeti), corrisponde alle intuizioni di Sigmund Freud in Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921): «La libertà non consiste tanto nel fare la propria volontà quanto nel non essere sottomessi a quella altrui», e ancora, attualissima: «La massa è un insieme di individui col culo a terra».

Nelle chat di gruppo tutti danno il peggio di se stessi. Come se crollassero dignità (nel senso in cui ne parla Albert Camus nella Peste, 1947, che stiamo leggendo insieme ogni venerdì live) e senso dell’onore. Non appena le mie dirigenti (insegno in due scuole, quest’anno) e le loro animatrici digitali mi hanno dato le chiavi per la G-Suite for Education sono partito con le mie Classroom: ho ripristinato sia la privacy sia la possibilità di un’interazione pertinente completa, e ho abbandonato i gruppi WhatsApp di classe, scatenando sdegno di alcuni colleghi (perché? Ho spiegato con cura perché avevo prima creato e poi abbandonavo tale gruppo), sgomento di alcuni ragazzi, sbandamento di alcuni genitori.

Certo, mi spiace che la piattaforma migliore al mondo per la DAD, che da due giorni ho deciso di chiamare DVD-Didattica di Vicinanza Digitale (e l’ho pure proposto in una mail alla Ministra Azzolina) sia nelle mani di Google, una delle Grandi Sorelle Americane della Rete Mondiale, ma se sono riusciti ad armarci per il miglior apprendimento possibile, anche se detengono loro le armi noi certamente possiamo fabbricare i nostri proiettili. Tanto chi vuole scrivermi in privato continua a farlo.

Mi scrivono a qualsiasi ora del giorno (del loro giorno, quindi tra le 12 diurne e le 2 notturne), e io rispondo sempre a tutti all’istante. Scrivo “bravo!” e “brava!”, ad ogni ritrovarci in videolezione li faccio parlare, chiedo come stanno, saluto i genitori che passano dietro le loro spalle mentre fratellini e sorelline urlano nei mic che chiedo di chiudere dopo i saluti. G-Suite sta inoltre facendo progressi giorno per giorno: ora c’è l’estensione Greed, che ci permette di guardarci tutti insieme in mosaico come su Zoom (piattaforma colabrodo invece, dal punto di vista privacy, flagellata l’altra settimana da balordi che passavano i link delle videolezioni prenotate ad amici stronzi che facevano incursioni con cretinate, o – peggio – filmati porno); e da venerdì sono stati messi in protezione anche i link alle videoconferenze, ogni volta reimpostati per renderla più dura ai cyberbulli.

Fanno ancora troppi errori di ortografia e sintassi, negli scritti che mi allegano in Classroom, ma molti di loro scrivono cose tenere, o profonde, o buffe: Gabrielle non ne può più di sua madre che le fa lavare le mani un centinaio di volte al giorno («È impazzitaaaaaa!»), tanti di loro muoiono di noia, hanno paura, qualcuno fa una cronologia frenetica di giornate assolutamente banali e ripetitive: «Oggi mi sono svegliata e sono entrata in videolezione dopo la lezione sono andata a guardare il telefono dopo sono andata a fare un pezzo di diario dopo sono andata a mangiare. Dopo aver mangiato sono andata a guardare le board continuavo a pensare al coronavirus e cercavo di non pensarci. Dopo la lezione di Italiano ho mangiato e sono andata a letto. Mi sono svegliata e sono entrata nella videolezione di Francese dopo le videolezioni non ho fatto altro quindi mi sono limitata a guardare cosa c’era da fare dopo sono andata a guardare le notizie sul coronavirus e forse potremo tornare a scuola a ottobre però non si sa ancora»» Via così, un giorno uguale all’altro, ansia e noia, noia e ansia, attività e dormite, dormite e attività. C’è qualcosa di diverso nella giornata tipo di un grande filosofo ottuagenario o di una star del pop? No: c'è chi ha un vasto giardino privato e chi neanche un balconcino, ma come la Morte il lockdown ci rende quasi tutti uguali, immobili nel nostro dovere di chiederci «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Addo (mi ha fatto tanto ridere!), a un certo punto scrive che una mattina si è fermato e si è chiesto: «Chi sono io, veramente»? Dice che dopo un po’ non gli è venuto in mente chi lui fosse, così ha ricominciato il suo tran-tran di segregato.

Poi, facendo un’unità di apprendimento su poeti per musica (dai troubadour ai cantautori rap), ho chiesto loro di scrivere una poesia d’amore, o di affetto. Ne sono arrivate di belle, alcune propriamente letterarie, dedicate alla mamma (tante), al cagnolino o al gattino, alle amiche, una al basket («swooosh, il suono della palla che entra nel canestro»), una al calcio» Luca invece ha fatto spettacolo: mi ha chiesto di leggere la sua poesia di amore live. Dopo pochi secondi Alba ha cominciato a contorcersi di imbarazzati e lusingati sorrisi e» voilà abbiamo il nostro Romeo, ma non ancora la nostra Giulietta. Lei ha fatto la difficile. Così lui non ha mollato e gliene ha scritta un’altra, che gli farò leggere dopodomani, quando riaccenderò Meet dopo le vacanze di Pasqua che hanno interrotto le infinite vacanze Covid-19. Vedremo se Alba crollerà all’amore digitale, che noi tutti single di ogni età pratichiamo dal 28 febbraio 2020 con le nostri amanti sposate o single ma soffocate dai figli, o sposate ma anche soffocate dai figli, con rarissime pericolosissime brevissime visioni erotiche notturne.

Ecco le parole d’amore di Luca, 12 anni, empaticamente egocentriche, che dedico alle colonne del mondo, le donne:

 

che poi la mia vita è bellissima

per il semplice e unico motivo

che la mia vita sei tu

 

non so dove vada la mia strada

ma cammino meglio

quando la mia mano stringe la tua

 

ti amo non per chi sei

ma per chi sono io

quando sto con te