Quando si parla di dipendenze, è necessario innanzitutto specificare che si fa riferimento ad un preciso quadro patologico. Ognuno di noi ha, infatti, delle piccole manie, dei vizi, delle abitudini che, seppur a volte bizzarre, a volte incontenibili, non sono certo da annoverare tra le dipendenze in senso stretto, nocive per l’individuo.
A un’evoluzione della società è corrisposta un’evoluzione delle dipendenze. Oggi, alle cosiddette “vecchie dipendenze” (fumo, alcol, droga, ecc.), si aggiungono altre nuove forme, figlie dei tempi moderni come il gioco d’azzardo, internet, fino ad arrivare allo shopping compulsivo o al difficile rapporto con il cibo.
La dipendenza presuppone un atteggiamento compulsivo e incontrollabile di un soggetto che agisce senza riuscire a resistere a un comportamento che può recargli danno. La cattiva abitudine, generata dalla sua ripetizione nel tempo, è capace di rendere schiavo un individuo portandolo a fare ciò che, in realtà, spesso nemmeno vorrebbe.
La società moderna è caratterizzata dall’evoluzione di dipendenze comportamentali che, pur non richiedendo l’assunzione di una sostanza chimica come accade con le vecchie dipendenze, sono comunque in grado di incidere negativamente sulla qualità della vita dei soggetti interessati, sul loro agire e sulle loro relazioni con gli altri, generando notevole disagio. Difficili da riconoscere, le dipendenze comportamentali stanno diventando sempre più diffuse.
Negli ultimi anni, stiamo assistendo a una costante crescita del fenomeno dei cosiddetti hikikomori (termine giapponese che significa “isolarsi”, “stare in disparte”). Si tratta di giovani appartenenti, soprattutto, alla ormai nota “generazione NEET“, ossia “not (engaged) in education, employment or training“, acronimo inglese che indica persone non impegnate nel lavoro, nello studio e nella formazione. Il Giappone è il luogo in cui il fenomeno è stato riconosciuto e affrontato per la prima volta ma, attualmente, coinvolge sempre più ragazzi, ovunque.
Spesso vittime di bullismo o di altri eventi che li portano a chiudersi in loro stessi, come la perdita del lavoro o un fallimento che non riescono ad affrontare, gli hikikomori iniziano a rinunciare alle proprie abituali attività come andare a scuola, fare sport, incontrare gli amici e decidono di allontanarsi dal mondo che li circonda, fino ad arrivare all’isolamento totale.
In questo scenario domina l’utilizzo improprio ed eccessivo di Internet che, da semplice svago o strumento di lavoro, diviene totalizzante. Una sorta di “portale” verso un mondo nuovo in cui i più giovani trovano rifugio e nel quale spesso riescono a dare origine a una vera e propria realtà parallela in cui trova spazio una vita ideale, differente da quella che sentono di essere costretti a vivere.
In verità, il comportamento finalizzato a evitare il contatto con il mondo esterno, ha origini ben più lontane e non legate al mondo di Internet. La necessità di dover fuggire dalla realtà per non subirne le pressioni, è probabilmente appartenuta a ogni tempo, anche se in forme differenti. Tuttavia appare evidente come sia la società odierna ad accentuare il fenomeno. L’esasperazione della perfezione e della competitività, lo ha diffuso fino a indurre a dargli un nome, delle caratteristiche ben precise che lo identificano e delle eventuali terapie per combatterlo.
Oggi, una maggiore informazione e gli studi in merito, hanno portato a una giusta consapevolezza e un’incisiva capacità di approccio di specialisti capaci di aiutare i giovani hikikomori a uscire dal proprio stato di apatia e solitudine, guidandoli attraverso un percorso psicoterapeutico che può rivelarsi efficace nell’aiutarli a comprendere che il mondo esclusivo che stanno costruendo non è l’unico possibile e che, affrontando la sofferenza del cambiamento e accettandolo, possono reinserirsi nella società, recuperando le relazioni e le attività perdute durante il loro periodo di ritiro sociale.
Elisa Dettori