Intervista a Carlo Mazzucchelli di Michael Pontrelli_Tiscali News dell’8 marzo 2021
Dirigente d’azienda, filosofo e tecnologo, Carlo Mazzucchelli è il fondatore del progetto editoriale SoloTablet dedicato alla conoscenza delle nuove tecnologie. Nel suo interessante libro Tecnoconsapevolezza e libertà di scelta ha affrontato un fenomeno sempre più diffuso: il disincanto tecnologico che sta spingendo molti cittadini ad andare oltre l’iniziale entusiasmo per le nuove piattaforme digitali e a riflettere criticamente e consapevolmente sugli effetti che esse producono sulla vita individuale e sociale delle persone. Tiscali News lo ha sentito.
Cosa è la tecnoconsapevolezza?
“E’ un mio neologismo creato per suggerire l’urgenza di una riflessione critica sulla tecnologia, che ha creato nuove opportunità ma ha antropologicamente riempito spazi umani con una velocità e volontà di potenza su cui di rado ci fermiamo a pensare. Dentro questi spazi, mediati tecnologicamente, si è diventati schiavi di macchine, piattaforme, algoritmi, intelligenze artificiali, ma soprattutto di parole, idee e visioni con le quali la tecnologia sta plasmando le nostre menti e le nostre realtà esperienziali.
Abbiamo accesso a innumerevoli dati, siamo immersi dentro un surplus di informazioni, sperimentiamo un surplus cognitivo ma qualcosa non sta funzionando. Sentiamo emergere nuovi bisogni la cui soddisfazione passa attraverso una maggiore conoscenza, la capacità di ribellarsi al pensiero binario della tecnologia, la riconquista di spazi privati di libertà personali, la fuga dal consumismo indotto dalle promozioni online e dalla schiavitù dei MiPiace.
La tecnoconsapevolezza è un primo passo verso nuove forme di libertà, per sperimentare nuove possibilità. È uno strumento per svelare l’inganno della tecnologia, comprenderne modelli, logiche di business e volontà di dominio a essi collegati. Serve a comprendere quanto i nostri comportamenti siano manipolati e tecno-guidati con l’obiettivo di ingaggiarci, addestrarci e renderci tecnodipendenti. Dalla fase attuale non si torna indietro ma il futuro è ancora tutto nelle nostre mani”.
Ha affermato che la “tecnoconsapevolezza è un primo passo verso nuove forme di libertà”. A che tipo di libertà si riferisce concretamente?
“La libertà auspicata nel mio libro non è un concetto teorico ma una reazione alle scelte binarie a cui ci ha abituato l’universo tecnologico e digitale. Scelte arbitrarie e simboliche, spesso slegate da bisogni reali e non volute, rese possibili, condizionate e automatizzate dagli algoritmi, forzate e manipolate per far prendere decisioni rapide, binarie appunto, impedendo la lentezza necessaria a elaborare pensiero, a riflettere e, per esempio, a scegliere di non scegliere.
Ciò che online sperimentiamo come libertà di scelta sta dentro il ruolo di consumatori nel quale i media tecnologici ci hanno intrappolati. Ruoli nei quali scambiamo una interazione come scelta, senza renderci conto che essa è un’esca lanciata dall’algoritmo di turno per la sua programmazione pubblicitaria.
Il tutto in un contesto gratificante che, spingendoci al conformismo, ci rende assolutamente prevedibili e programmabili. La tecnoconsapevolezza è un modo intelligente per contrastare la forza della tecnologia, il suo ricatto sottile, i suoi inganni e le sue promesse. L’obiettivo è di vivere da individui autonomi, liberi, capaci di pensiero critico, anche nell’esercizio della libertà di scelta nei mondi tecnologici che abitiamo”.
Cosa è cambiato con le tecnologie digitali rispetto al mondo delle tecnologie analogiche?
“La tecnica/tecnologia ha sempre cambiato il mondo e il nostro sguardo su di esso. Ciò che caratterizza le nuove tecnologie rispetto a quelle precedenti è la volontà di potenza e la capacità di accelerazione. La tecnologia viaggia veloce, molto più veloce della nostra capacità di conoscerla, comprenderla e padroneggiarla. Ne deriva una difficoltà tutta umana a evitare il condizionamento, diretto o occulto, e la servitù volontaria alla quale ci siamo assuefatti.
Questa servitù interessa ogni ambito di vita individuale e sociale, personale e lavorativa. È tanto più potente quanto più la tecnologia è diventata un rifugio, uno spazio da abitare, anche cognitivamente ed emotivamente. Ciò su cui bisognerebbe oggi interrogarsi, abbandonando le narrazioni conformiste correnti, è quanto siano cambiate le tecnologie digitali che utilizziamo.
Internet non è più né libera né democratica, le piattaforme sono mondi chiusi, acquari-mondo e voliere nelle quali ci si trova felicemente (perché nutriti e gratificati) imprigionati, il motore di ricerca non dà risposte ma costruisce identità e profili da trattare come merci e soddisfare come consumatori, il prezzo della libertà e della trasparenza online è la fine della nostra privacy”.
I cambiamenti di internet negli ultimi anni sono evidenti a tutti e lo stesso si può dire delle dinamiche che avvengono all’interno delle principali piattaforme digitali che ha descritto. Ma detto questo, in quali aspetti la società è peggiorata rispetto all’epoca pre-digital?
“Viviamo tempi di grandi cambiamenti e grandi crisi. Non solo sanitarie ma ambientali, sociali, economiche, psichiche e politiche. La tecnologia è elemento portante e determinante dei primi e delle seconde. Per capire ciò che sta succedendo non si può prescindere dagli effetti della tecnologia, siano essi positivi o negativi.
Si può cominciare a farlo interrogandosi sulla sparizione della privacy, sulle accresciute possibilità di sorveglianza e controllo politico, sulla disinformazione e misinformazione, sulla proliferazione di false verità e verità alternative, sulla brutalità del linguaggio, sulla sparizione delle competenze, sul predominio economico e politico di poche aziende tecnologiche e monopoliste, sul diffondersi di incertezza, fragilità e malattie psichiche, sulla falsa socialità privatizzata (dai)dei social, sull’avanzata delle macchine intelligenti e la sparizione di posti di lavoro.
Su tutto domina quanto siamo diventati deboli, come esseri umani, nei confronti delle macchine, delle quali conosciamo sempre meno ma le cui abilità diamo tutte per scontate. Anche quando non lo sono, soprattutto in termini di impatti e di effetti sulle nostre vite vere”.
La tecnoconsapevolezza a suo avviso è la chiave per risolvere i problemi creati dalle nuove tecnologie digitali di cui c’è ancora poca percezione. Come si potrebbe far crescere nelle persone questa nuova forma di consapevolezza?
“La tecnoconsapevolezza è un approccio, oltre a essere uno strumento analitico e di comprensione della realtà. Si basa su domande: sul nostro futuro di esseri umani; sull’ineluttabilità del futuro tecnologico e dei suoi scenari emergenti; sul ruolo della tecnologia nel determinare i nostri stili di vita, comportamenti, sistemi politici, economici e istituzionali.
Domande sulla nostra cognizione, percezione della realtà e addomesticamento della vista; sulla nostra identità, autonomia di uomini aumentati tecnologicamente ma forse diminuiti umanamente; sul mercato del lavoro; sul prezzo della gratuità online e il potere nascosto dei Big Data; sul ruolo dei media tecnologici nella manipolazione della realtà e dell’attenzione; sulla mutazione antropologica in atto e sulla felicità del Quantified Self; sui rischi, sulla nostra disponibilità al cambiamento e alla convivenza con l’incertezza continua; sulla privacy e riservatezza dei dati personali.
Domande sul ruolo dominante delle macchine e la pervasività delle intelligenze artificiali; sui codici segreti che dominano piattaforme, algoritmi e macchine dotate di capacità di apprendimento; su quanto stiamo rinunciando in termini di libertà, autonomia e democrazia; sulla profilazione, il controllo e la sorveglianza digitali; sul potere degli algoritmi e sul ruolo delle interazioni tecnologiche su comportamenti e relazioni; sullo storytelling e il ruolo dei media digitali; e infine sui tempi, i ritmi e l’etica delle macchine”.
La sua risposta precedente è un lungo elenco di domande che ogni cittadino dovrebbe porsi per essere consapevole di ciò che sta accadendo. Un invito, dunque, a recuperare il pensiero critico che deriva chiaramente dalla sua formazione filosofica. In suo recente intervento sui social ha parlato del logos affermando che “la tecnologia non lo ha sostituito ma lo ha scippato”. Questa frase mi ha incuriosito molto. Cosa intende dire?
“Si tratta di una provocazione finalizzata a far riflettere su ciò che sta capitando a esseri umani con il cervello tecnologicamente aumentato ma forse diminuiti come uomini. Talmente diminuiti da essere complici dello scippo perpetrato ai loro danni. La provocazione era riferita al logos come parola e alla sua perdita, anche di senso e di significati, all’interno dello storytelling conformista tipico delle piattaforme tecnologiche dominate, nella forma e nella sostanza, dalle funzionalità, logiche, preferenze e convenienze degli algoritmi e delle intelligenze artificiali.
Oggi più che mai andrebbe fatto uno sforzo per tornare al logos, alla cultura della parola e alla sua diffusione in modo da resistere ai rituali mediatici del digitale, al loro storytelling felicitario e gaudente per ridare solidità e peso specifico alle parole. E le parole che richiamano a gran voce attenzione sono: disuguaglianza, precarietà, povertà, solidarietà, generosità, gentilezza, accoglienza e molte altre. Tutte parole che riacquistando forza e significato potrebbero contribuire a spostare l’attenzione dai mondi virtuali a quelli fattuali e a cambiare in meglio la realtà”.